Sono circa 145 milioni le persone nel mondo che hanno l’alopecia areata. Il 2% della popolazione, secondo il dato che riporta l’associazione Asaa. Difficilmente si parla di questa patologia e dei disagi che arreca a chi ne soffre. È sufficiente fare un ricerca su internet per capire quanto il dibattito sull’alopecia sia scarno e si riferisca principalmente alla calvizie dell’uomo (alopecia androgenica), che va distinta dalla malattia autoimmune che può manifestarsi sin dalla tenera età e che comporta la perdita parziale o totale di capelli e peluria.
Giovanna convive con l’alopecia da quando aveva tre anni. Oggi ne ha 30, fa l’avvocato da tre, e da due anni si mostra in pubblico “a testa scalza” (usando la sua espressione). Oggi racconta apertamente i disagi che vive una donna senza capelli. “Non è un problema estetico. Bisogna capire che si vive un disagio psicologico”, sottolinea.
La perdita di capelli e di peluria ha pesato soprattutto sulla sua adolescenza, quando una semplice uscita con le amiche poteva generare ulteriore sofferenza, per gli insulti e il bullismo di cui era vittima. “Uscendo con le amiche – racconta – vedevo che io, indossando il cappellino, non venivo corteggiata dai ragazzini, che oltretutto mi bullizzavano. Mi dicevano che ero brutta, mi davano del maschio, mi chiamavano melonessa. E questo a lungo andare mi ha svilito tanto. Un bel giorno, stanca della vita col cappello, che indossavo da quando avevo tre anni, tornai a casa e dissi che volevo una parrucca”. Da quel momento la parrucca è diventata la sua “compagna di viaggio”.
Giovanna vive a Liveri, in provincia di Napoli, e tre anni fa ha aperto il suo studio legale a Camposano. Parla delle difficoltà di vivere con l’alopecia in contesti dove si tende a reprimere il problema piuttosto che ad affrontarlo, di quelle che si possono incontrare in un rapporto di coppia, spiega cosa significa vivere con una parrucca, e quanto sia importante che le persone abbiamo la possibilità di scegliere come vivere con l’alopecia a prescindere dalle proprie condizioni economiche. “Io oggi penso che l’alopecia sia quasi un modo per farmi vivere una missione, quindi – dice – sono certa di poter dare coraggio a tante persone”.
Giovanna ricorda del senso di solitudine che ha provato fino all’età di 17 anni, quando iniziò per lei una fase che definisce “di riscatto”, seguita a 27 anni da una fase di “coraggio”. Poi a 28 anni decide di denudarsi, di mostrarsi in pubblico senza la sua parrucca. In una manifestazione che organizzò il 30 novembre del 2019 per sensibilizzare su alopecia e violenza sulle donne, Giovanna si presentò senza coprire la sua testa. “Ormai quasi più nessuno sapeva del mio problema e io avevo raggiunto quello stato di serenità tale da poter condividere la mia patologia con gli altri. Volevo anche incoraggiare gli altri, alla consapevolezza, all’accettazione. Io posso vedermi bella con l’impianto, senza, in tutte le sfumature”.
In quell’occasione, qualcuno disapprovò la sua scelta di mostrarsi senza parrucca, sostenendo che le avrebbe creato problemi nella crescita professionale. “Gli avvocati – dice Giovanna – sono formalisti. Penso che questo mio modo di vivere il problema possa essere da monito a coloro che lavorano nell’ambito della giustizia, dove conosco molte persone con l’alopecia che prestano molta attenzione al canone estetico e vivono il problema reprimendolo”.
Non esiste una cura definitiva per l’alopecia. Si fanno terapie a base di cortisonici, ma non garantiscono la ricrescita dei capelli senza l’aiuto di farmaci. Giovanna, che per anni si è sottoposta alle cure del caso, oggi afferma di essere contraria. “Sono contro perché – spiega – l’alopecia è un problema legato al nostro sistema immunitario e quindi non accetto di fare una terapia con la consapevolezza che dopo poco ricadono i capelli. E lo dico con esperienza, perché ho fatto terapia dall’inizio, da quado avevo 3 anni. Mi sono imbottita di farmaci e oggi ho diverse problematiche connesse con il loro utilizzo smodato. Trovo, invece, molto utile i consulti con uno psicoterapeuta, perché aiutano ad accettare la nostra condizione e a vivere con più serenità, invece di rincorrere una soluzione che in realtà è solo un tampone”.
Giovanna racconta della speranza puntualmente infranta di poter rivedere i capelli crescere ogni volta che si sottoponeva a terapie costose e aggressive, fino a quando non ha deciso di interrompere le cure all’età di 17 anni. “Non vedere mai una ricrescita ti amareggia – rivela -, quindi preferì evitare quell’investimento terapeutico e investire nella mia crescita professionale. Poi non mi aiutava nemmeno a livello psicologico, perché fin quando facevo la terapia cercavo di concentrarmi sulla ricrescita dei capelli, e quindi non mi dedicavo ad altro. Smessa la terapia non ho pensato più alla ricrescita e sono stata più serena”.
I capelli crescono fino a quando si continua a seguire la terapia farmacologica, ma ricadono nel momento in cui si smette di assumere i farmaci. Inoltre i costi delle cure non sono accessibili a tutti. “Chi si trova in una situazione di difficoltà economica non ce la fa ad affrontare le terapie, – racconta Giovanna – infatti molto spesso vengono organizzate delle raccolte per aiutare le persone più indigenti”. L’alopecia è una patologia che non viene riconosciuta dal nostro sistema sanitario come malattia cronica, pertanto tutte le cure, tutte le protesi sono a spese del soggetto che ne è affetto. Oltre agli effetti delle terapie sulla salute e al disagio psicologico che comporta, quindi, si pone anche una questione economica.
Una parrucca con capelli veri costa mediamente 1.500-2000 euro, quelle con capelli sintetici costano circa 200 euro. Nel caso in cui si scelgano impianti con capelli veri, alla spesa iniziale per l’acquisto si aggiungono anche quelle periodiche per la manutenzione, che si aggirano intorno ai 150 euro. Le regioni istituiscono periodicamente dei fondi per l’acquisto di parrucche, ma per Giovanna non sono sufficienti. “L’ultimo bando della Regione Campania era avvilente, perché dava la possibilità di beneficiare di un sussidio di 300 euro a circa 20 persone con alopecia causata da chemioterapia. Quindi escludeva tutti, perché il numero di persone che fanno chemioterapia è sicuramente molto più elevato e l’alopecia è una condizione che poi vivono anche tante altre persone, non solo quelle che fanno chemioterapia”.
Giovanna con l’associazione che ha fondato, Giuridicamente, sta portando avanti una battaglia per ottenere il riconoscimento della patologia da parte del sistema sanitario nazionale, “perché – afferma – ancorché patologia rara, l’alopecia è ormai fortemente diffusa. Può essere conseguenza di tantissime altre patologie, come la neoplasia, o alcuni morbi, che comportano la perdita dei capelli”. Con la sua associazione Giovanna ha portato la questione all’attenzione di un deputato, Luigi Iovino, che nel 2020 ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere l’inserimento dell’alopecia areata tra le malattie croniche e invalidanti e la concessione di esenzioni per permettere a tutti di seguire terapie e acquisire dispositivi medici. “Siamo in attesa di un incontro con il ministro della Salute che abbiamo dovuto rinviare a causa del Covid”, afferma Giovanna.
“La donna priva di capelli è terrificante, il capello è un tratto distintivo della donna. Lo Stato, le Regioni – è l’appello di Giovanna – devono impegnarsi a garantire impianti di qualità alle persone che vivono questa condizione. Bisogna smuovere le coscienze e far capire che il problema non è di carattere estetico ma psicologico. E da lì partire per trovare una soluzione. E la soluzione non può essere quella di ricorrere in modo smodato ai farmaci, ma assicurare un benefit a una persona che può decidere di vedersi bella senza capelli con un impianto, o di non mettere l’impianto e di stare a testa scalza. Lo Stato e la Regione devono impegnarsi a garantire la libera scelta di chi è affetto da alopecia, mettendo strumenti a disposizione di queste persone”.
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