Terrorizzare e umiliare le vittime e il gruppo etnico di appartenenza, sarebbe questo lo scopo di chi ha abusato delle donne in Etiopia. Numerosi i casi accertati in meno di un anno nel Tigray, la regione a nord del Paese dove da novembre del 2020 a giugno scorso si è combattuto un conflitto tra il governo federale e il governo regionale del Fronte di liberazione del Tigray (Tplf).
Solo Amnesty International ha raccolto in tre mesi – tra marzo e giugno – le testimonianze di 63 donne sopravvissute alle violenza sessuali e quelle di operatori sanitati e umanitari. Le vittime hanno rivelato di torture e stupri di gruppo subiti anche per settimane all’interno di basi militari. Alle donne sono stati inseriti chiodi e altri oggetti nei genitali. Alcune ora presentano dei danni irreversibili. Molte continuano ad avere perdite di sangue, dolori alla schiena, fistole. Altre sono risultate positive all’Hiv. C’è chi deve convivere con l’insonnia, l’ansia e altre forme di stress sviluppate a causa delle violenze.
Secondo l’organizzazione non governativa, gli aggressori farebbero parte delle Forze nazionali di difesa dell’Etiopia, delle Forze di difesa dell’Eritrea, della Forza speciale della polizia regionale dell’Amhara e di una milizia di etnia ahmara denominata Fano. Tra le vittime che hanno raccontato le violenze, in 28 hanno indicato le forze eritree come uniche responsabili del loro stupro e 12 (cinque delle quali in stato di gravidanza) hanno denunciato di essere state stuprate da soldati e miliziani davanti ai loro familiari.
“Lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono stati usati come armi di guerra per infliggere danni fisici e psicologici alle donne e alle ragazze del Tigray. Centinaia di loro sono state sottoposte a trattamenti brutali allo scopo di degradarle e privarle della loro umanità. La gravità e la dimensione di questi reati sessuali sono spaventose, al punto da costituire crimini di guerra e forse anche crimini contro l’umanità”, ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International. “Chiediamo al governo dell’Etiopia – è l’appello – di consentire l’ingresso nel Tigray alla Commissione d’inchiesta della Commissione africana per i diritti umani e dei popoli e sollecitiamo il segretario generale delle Nazioni Unite a inviare nella regione il team di esperti sulla violenza sessuale nei conflitti”.
Stando ai dati forniti da Amnesty International, le strutture sanitarie del Tigray hanno registrato 1288 casi di violenza di genere tra febbraio e aprile del 2021. Il solo ospedale di Adigrat, capoluogo della provincia dell’Agamé, ha registrato 376 casi di stupro dall’inizio del conflitto al 9 giugno. Si tratta di numeri che per l’organizzazione sottostimano il fenomeno, perché molte vittime hanno rivelato di non essersi rivolte ad alcuna struttura sanitaria. Tali dati, ad ogni modo, confermano il ricorso allo stupro come arma da guerra.
Il 28 giugno scorso il premier etiope Abiy Ahmed ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale di circa tre mesi, che sembra solo apparente. Questa settimana il governo ha invitato “tutti gli etiopi capaci” ad unirsi alle forze armate per fermare le forze risorgenti del Tigray, regione dove la guerra in meno di un anno cha provocato massacri, devastazione, carestia e milioni di sfollati.
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