Pubblicato nel 1934, quando l’autrice Simone Weil aveva solo venticinque anni, “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” è un saggio filosofico piuttosto complesso. In quell’epoca la celebre scrittrice e pensatrice francese voleva “arrivare a cogliere il meccanismo dell’oppressione, a comprendere in virtù di che cosa essa sorge, sussiste, si trasforma, in virtù di che cosa essa potrebbe forse teoricamente sparire”. Inoltre, mediante un brillante ragionamento, ha cercato anche di “raffigurare chiaramente la libertà perfetta, non nella speranza di raggiungerla, ma nella speranza di raggiungere una libertà meno imperfetta” della condizione in cui ella stessa viveva.

Non è un caso se l’anno di pubblicazione di “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” coincide con l’anno in cui Simone Weil decide di abbandonare l’insegnamento filosofico nei licei per “vivere direttamente la dura esperienza del lavoro manuale come fresatrice a Billancourt, nelle officine Renault”. Il meccanismo che “subordina l’operaio all’impresa e a coloro che la dirigono”, secondo la scrittrice, è materia di studio e di approfondimento. Così, l’opera in questione non può che essere un’analisi accurata della società dell’epoca passata, un’analisi che trova nella divisione del lavoro l’origine dell’oppressione sociale.

In apertura Simone Weil, dopo aver mosso delle critiche al progresso tecnico (che non ha fatto altro che “apportare alle masse la miseria fisica e morale”), mette in discussione la parola rivoluzione, chiedendosi se “il termine rivoluzione è altro che una parola, se ha un contenuto preciso, se non è semplicemente una delle numerose menzogne suscitate dal regime capitalista nel suo sviluppo”. In seguito sviluppa il saggio in quattro punti: critica del marxismo, analisi dell’oppressione, quadro teorico di una società libera, profilo della vita sociale contemporanea.

Critica del marxismo

“Marx ha ben mostrato che la ragione vera dello sfruttamento dei lavoratori consiste nella necessità di ingrandire l’impresa il più rapidamente possibile per renderla più potente delle imprese concorrenti”. Ma “prendendo in considerazione la teoria delle forze produttive”, al contempo, egli “ha creduto alla possibilità di una democrazia effettiva”. In parole semplici, Marx credeva che l’aumento della produttività del lavoro, attraverso l’immissione di tecnologie più avanzate, un giorno avrebbe “alleggerito il peso della necessità materiale, e per una conseguenza immediata quello della costrizione sociale”, o meglio quello dello sfruttamento. Simone Weil tuttavia afferma che “Marx non spiega mai perché le forze produttive tenderebbero ad accrescersi; ma ammettendo questa tendenza misteriosa senza provarla, egli si avvicina non a Darwin, come amava credere, ma a Lamarck, che a sua volta fondava tutto il suo sistema biologico su una tendenza inspiegabile degli esseri viventi all’adattamento”. Marx, inoltre, “ha preteso di rimettere ai suoi piedi la dialettica hegeliana”: come Hegel credeva in uno spirito che fosse il motore della storia, Marx ha creduto che motore della storia fosse la materia. Per queste supposizioni, Simone Weil tacciava Marx di “credere nella Provvidenza”.

Analisi dell’oppressione

“L’oppressione deriva esclusivamente da condizioni oggettive. La prima condizione è l’esistenza di privilegi”, mentre la seconda condizione “è la necessità dei potenti a conservare la propria potenza”. Da una parte, la natura stessa delle cose fa sì che si crei un monopolio di alcuni (ad esempio i riti religiosi, diventati troppo numerosi e troppo complicati per essere conosciuti da tutti, diventano il segreto e di conseguenza il monopolio di alcuni sacerdoti); dall’altra vi è la potenza che nutre i potenti e spinge quest’ultimi a “rafforzare il proprio potere perché non gli venga strappato” dai suoi rivali, e a ricercare obbedienza da parte da parte dei suoi sottoposti. In questi termini “non c’è mai potere, ma solo una corsa al potere” e così si precipita in un limbo, la cui unica via d’uscita è o la soppressione dell’ineguaglianza, o l’instaurazione di un potere tale che vi sia equilibrio tra coloro che comandano e coloro che obbediscono.

Quadro teorico di una società libera

“Si può intendere per libertà qualcosa di diverso dalla possibilità di ottenere senza sforzo ciò che piace. Esiste una concezione ben diversa della libertà, una concezione eroica che è quella della saggezza comune. La libertà autentica non è definita da un rapporto tra il desiderio e la soddisfazione, ma da un rapporto tra il pensiero e l’azione”. In una società in cui non vi è chi coordina e chi esegue, in una società in cui “la tecnica è di natura tale da mettere perpetuamente in azione la riflessione metodica”, non vi sarebbe né monopolio né corsa al potere. “In generale, la dipendenza degli uomini gli uni dagli altri non implicherebbe più che la loro sorte si trovi in balìa dell’arbitrio, e cesserebbe così d’introdurre nella vita umana quel qualcosa di misterioso, poiché ciascuno sarebbe in grado di controllare l’attività di tutti gli altri facendo appello esclusivamente alla sua ragione”.

Profilo della vita sociale contemporanea

Il quadro teorico di una società libera non trova spazio nella società contemporanea. Secondo Simone Weil “mai l’individuo è stato abbandonato a una collettività cieca, e mai gli uomini sono stati più incapaci non solo di sottomettere le loro azioni ai loro pensieri, ma persino di pensare”. Tutto questo accade perché c’è stato un rovesciamento del mezzo con i fini: “lo scienziato non fa appello alla scienza con lo scopo di arrivare a vedere più chiaro nel proprio pensiero, ma aspira a conseguire dei risultati che possano aggiungersi alla scienza costituita. Le macchine non funzionano per permettere agli uomini di vivere, ma ci si rassegna a nutrire gli uomini affinché servano le macchine. Il denaro non offre un procedimento comodo per scambiare i prodotti, è piuttosto il flusso delle merci a costituire un mezzo per far circolare il denaro. Infine l’organizzazione non è un mezzo per esercitare un’attività collettiva, ma l’attività di un gruppo, qualunque esso sia, è un mezzo per rafforzare l’organizzazione.”

Le conclusioni

In conclusione Simone Weil fa un bilancio della situazione, ma nonostante tutto riesce a scorgere uno spiraglio di luce. Ella afferma che mediante il pensiero e l’azione è possibile creare i presupposti per una società libera dall’oppressione. “Si tratterebbe di separare, nella civiltà attuale, ciò che appartiene di diritto all’uomo considerato come individuo e ciò che è tale da fornire armi alla collettività contro di lui […] Per quanto concerne la scienza, non bisogna più tentare di accrescere la massa di conoscenze già troppo grande che essa possiede, ma occorre lasciare da parte ciò che è solo procedimento automatico finalizzato a coordinare, unificare, riassumere o anche a scoprire; occorre tentare di ricondurre questi stessi procedimenti a processi coscienti dello spirito.” Bisognerebbe rivalutare lo studio delle scienze e della tecnica, uno studio che deve essere approfondito e volto a comprendere il rapporto del lavoratore e del suo lavoro. Infine, secondo l’autrice, bisognerebbe mettere in piena luce l’analogia dei processi che il pensiero umano compie, per un verso nella vita quotidiana e particolarmente nel lavoro, per l’altro nell’elaborazione metodica della scienza.

“Là dove le opinioni irragionevoli prendono il posto delle idee, la forza può tutto”

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