Sale a 225 il numero dei manifestanti morti per le proteste avvenute in Kazakistan nella prima settimana di gennaio. Nell’ultimo aggiornamento si parlava di 164 persone decedute, un dato poi ritirato e che oggi, a meno di 10 giorni, risulta addirittura superato.
“Durante lo stato di emergenza, i corpi di 225 persone sono stati consegnati agli obitori”, ha detto Serik Shalabayev, capo dell’accusa presso l’ufficio del procuratore. Tra le vittime, “19 sono agenti delle forze dell’ordine e personale militare”. Le altre sono state qualificate come “banditi armati che hanno partecipato ad attacchi terroristici”. “Purtroppo – ha poi aggiunto Shalabayev -, anche i civili sono diventati vittime di atti di terrorismo”.
Ancora molte persone sono ricoverate negli ospedali, alcune in condizioni critiche. Asel Artakshinova, portavoce del ministero della Salute, ha affermato che sono più di 2.600 in cura negli ospedali, di cui 67 attualmente in gravi condizioni, e che qualcuno scappa, anche dai reparti di terapia intensiva, con l’aiuto di ignoti armati.
Le manifestazioni erano iniziate il 2 gennaio per protestare contro l’aumento del prezzo del carburante e avevano fatto registrare violenze e scontri placati dopo una settimana con una dura repressione. “Sparate a vista, senza preavviso”, autorizzò il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev.
Per le rivolte le autorità del Kazakistan hanno accusato degli imprecisati banditi e “terroristi” internazionali. Secondo la loro versione, avrebbero dirottato le proteste che hanno avuto il loro epicentro nella città più grande del Paese, Almaty. Durante i disordini i rivoltosi manifestavano rabbia contro Nursultan Nazarbayev, l’ex presidente che ha guidato il kazakistan dalla sua indipendenza dall’Urss fino al 2019, quando come suo successore ha designato l’attuale presidente Tokayev. Dopo le rivolte di inizio gennaio, Tokayev ha provveduto a rimuovere dagli incarichi governativi i fedelissimi di Nazarbayev.
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