Le rassicurazioni degli esperti sull’integrità della centrale nucleare assediata e colpita dai russi nella notte tra il 3 e il 4 marzo, quando si è sviluppato un pauroso incendio, non bastano ad attenuare l’angoscia per la devastazione di strade e palazzi oramai spettrali. “Adesso qui c’è una tregua ed è proprio questo che ci spaventa. Non sappiamo se i russi si sono fermati o se attaccheranno di nuovo. Se lo facessero, potrebbe arrivare la devastazione finale”. Natalia Feredorest, per anni in Italia, è tornata a Zaporizhzhya, in un Oblast (l’equivalente ucraino delle nostre regioni) nel Sud-Est dell’Ucraina. Cucina interrottamente da due settimane insieme a un’altra decina di donne per tentare di sfamare quante più persone possibili.
Zaporizhzhya è la località nei pressi del fiume Dnipro e della città Enerhodar che ha fatto temere al mondo un disastro radioattivo peggio di Chernobyl del 1986 dopo l’attacco dell’esercito di Putin. Come Kiev, Kharkiv e Mariupol, Zaporizhzhya da una settimana è irriconoscibile a causa dei bombardamenti e dei colpi d’artiglieria. In molti se ne sono andati come hanno potuto, raggiungendo la Polonia e agli altri Paesi europei per cercare di salvarsi. Ma chi è rimasto – non solo i civili, ma anche i militari e paramilitari – necessita di sostentamento.
Natalia, da uno dei rifugi dove la speranza di non morire convive con il terrore, ci fornisce il suo racconto in una pausa dalla preparazione dei pasti. “Sono almeno 300 al giorno quelli che prepariamo. Abbiamo bisogno di medicine, di cibo, di indumenti, scarpe, guanti e anche rifornimenti per gli uomini che stanno combattendo contro i russi”. La priorità è proteggere i bambini, che anche a Zaporizhzhya sono costretti a stare perlopiù al freddo, lenito soltanto dal calore di un abbraccio delle mamme e dai riscaldamenti oramai quasi del tutto compromessi nei rifugi. Il pericolo di soccombere o di veder peggiorata la propria situazione non è data soltanto dalle bombe e dai colpi di fucile, sperando che la relativa calma del momento regga.
“Se i russi si accorgessero che stiamo accumulando merce per gli ucraini potrebbero prendersela, lasciandoci senza nulla. Ecco perché ho messo a disposizione anche la mia carta di credito per far affluire donazioni. Dobbiamo gestire tutto noi, tenendo lontano gli sciacalli e i ladri”. Natalia resiste, si sente forte, ma non può fare a meno di scontrarsi con la dura realtà. “Zaporizhzhya e le città intorno sono luoghi distrutti. Le strade sono impraticabili, i palazzi inabitabili, così come lo sono tantissime parti dell’Ucraina. Ovviamente, tutti quelli che ne hanno avuto la possibilità se ne sono andati. Non saprei quantificarli, ma non c’è quasi più nessuno. Speriamo nella pace, ma il mondo non ci abbandoni”.
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