Sono volati sassi e bottiglie prima che a Gerusalemme prendesse il via la “Marcia delle bandiere”, la manifestazione a cui ogni anno partecipano migliaia di ebrei per celebrare il giorno in cui Israele, nel 1967, prese il controllo di Gerusalemme est e riunificò tutta la città sotto la sua sovranità. Gli scontri sono avvenuti tra ebrei, palestinesi e la polizia israeliana, nella Città Vecchia, sulla collina che viene chiamata “Spianata delle moschee” dai musulmani e “Monte del Tempio” dagli ebrei.
Il presidente israliano, Naftali Bennett, ha autorizzato la marcia lungo il percorso che ormai segue “da decine di anni” e che prevede il passaggio nel quartiere musulmano della Città Vecchia, nonostante le tensioni che si registrano da tempo. L’11 maggio scorso la giornalista Shireen Abu Aqla è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco dalla polizia israeliana mentre stava svolgendo il suo lavoro in Cisgiordania.
La marcia parte dalla Porta di Damasco, attraversa il quartiere arabo e arriva al Muro del Pianto, luogo sacro ebraico che confina con il complesso della moschea di al-Aqsa, che è il terzo luogo più sacro dell’Islam.
“Israele sta giocando con il fuoco consentendo ai coloni di profanare i luoghi santi”, ha affermato all’agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa il portavoce del presidente Nabil Abu Rudeineh. Israele considera Gerusalemme come sua capitale. I palestinesi invece rivendicano Gerusalemme Est, sostengono che Israele abbia occupato la capitale di un loro futuro Stato e considerano profane le visite degli ebrei nel loro luogo sacro. Generalmente, gli ebrei e gli altri non musulmani possono visitare il sito sacro dei musulmani in determinati orari e, in base a un accordo di lunga data noto come status quo, gli è vietato pregare o mostrare simboli religiosi o nazionali.
Gli scontri avvenuti a Gerusalemme alimentano fanno temere un ritorno alla guerra. L’anno scorso nella stessa occasione nacquero gli scontri che sfociarono nel conflitto di 11 giorni tra Israele e militanti palestinesi.