Fonte foto: Simon Dawson - Flickr

Che fosse alta la possibilità che Boris Johnson lasciasse la carica di primo ministro prima della scadenza naturale del suo mandato era chiaro dalla sera del 6 giugno, quando alla Camera dei Comuni del Regno Unito ottenne la fiducia, ma con il voto contrario del 41% dei parlamentari del suo partito (148 su 359 dei Conservatori votarono contro).

Gli scontenti nel partito guidato dal premier inglese erano parecchi. I malumori si registravano dallo scandalo per le feste organizzate presso la residenza di Johnson mentre era in vigore il lockdown imposto dallo stesso governo per la pandemia. Le polemiche che ruotavano intorno a Johnson avevano portato 54 parlamentari conservatori a chiedere il voto di fiducia di giugno, il cui risultato ha ulteriormente indebolito la sua leadership.

La situazione è iniziata a precipitare quando, lunedì 5 luglio, il ministro dell’Economia e delle Finanze del Regno Unito, Rishi Sunak, e il ministro della Salute, Sajid Javid, hanno rassegnato le proprie dimissioni dal governo. Sunak e Javid hanno abbandonato l’esecutivo dopo le rivelazioni del ministro Michael Ellis, che incolpava Johnson di aver nominato all’inizio del 2022 come capogruppo del partito il deputato conservatore Chris Pincher, pur essendo al corrente delle accuse di molestie sessuali che erano state mosse contro di lui da due persone. Martedì Johnson ha ammesso di sapere delle accuse e si è scusato pubblicamente.

L’addio di Sunak e Javid ha dato il via a ulteriori dimissioni – circa 60 tra ministri, parlamenti e membri del partito – che si sono succedute fino a oggi, tra cui quelle di due ministri nominati soltanto 48 ore prima, in un rimpasto lampo: il ministro delle Finanze, Nadhim Zahawi, e la ministra dell’Istruzione, Michelle Donelan.

Nonostante le pressioni dal partito e le dimissioni a pioggia, fino a questa mattina Johnson sembrava non avere alcuna intenzione di lasciare: “Non mi dimetterò”, aveva dichiarato a una commissione parlamentare. Poi, nella tarda mattinata, al numero 10 di Downing Street, in un discorso alla nazione ha annunciato le dimissioni da leader dei Tories, la forza di maggioranza in Parlamento.

Nel sistema britannico, il primo ministro designato è quasi automaticamente il leader del partito che vince le elezioni. Johnson vorrebbe restare in carica, come dimissionario, fino all’autunno, quando verrà scelto il prossimo leader dei conservatori e dunque il nuovo primo ministro. “Servirò il Paese – ha detto pubblicamente – fino a quando non ci sarà un nuovo leader al mio posto”.

Prima di Johnson, già l’ex prima ministra Theresa May era stata costretta a dimettersi nel luglio del 2019, a distanza di 6 mesi da un voto di fiducia ottenuto con uno scarto di 83 parlamentari, venti in più rispetto a quanto ottenuto nei mesi scorsi da Johnson.

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