L’annuncio di addio alla politica da parte un potente religioso sciita – Moqtada al-Sadr – è bastato ad accendere le violenze in Iraq, dopo mesi di stallo politico e di tensioni maturate nel tentativo di formare un governo, reso complicato da un’aspra lotta tra i sostenitori dall’Iran e i partiti fedeli a Baghdad.
Almeno 24 persone sono state uccise e centinaia sono state ferite nei disordini scoppiati nella zona verde, sede del governo iracheno. Nell’area, in teoria protetta e militarizzata, dove si trovano anche le sedi diplomatiche straniere, sono infuriati scontri armati tra una milizia fedele a Sadr, e le forze di sicurezza irachene.
It’s dawn in Baghdad. #Iraq pic.twitter.com/lz3uMJw24b
— Joe Truzman (@JoeTruzman) August 30, 2022
I sostenitori di Sadr avevano organizzato un sit-in di una settimana al parlamento. Poi sono riusciti ad entrare nel palazzo di governo: hanno superato le barriere di cemento con le corde, si sono precipitati nei sontuosi saloni e nelle sale marmoree, luogo di incontro chiave per i capi di stato iracheni e le altre cariche straniere, e sono entrati in in una piscina in giardino. Sventolavano bandiere irachene e si fotografavano. Poi, nella notte di lunedì, almeno sette razzi sono caduti nella Green Zone.
Protestors storm the Presidential Palace in Baghdad.
— The Post Millennial (@TPostMillennial) August 29, 2022
Secondo quanto rivelato da alcuni medici, dozzine di manifestanti sono stati feriti da spari e gas lacrimogeni negli scontri con la polizia antisommossa. Il primo ministro ad interim dell’Iraq, Mustafa al-Kadhimi, ha imposto il coprifuoco nella maggior parte dei paesi e delle città, ad eccezione del nord curdo, a partire dalle 19:30. Ha inoltre sospeso le sessioni di gabinetto.
Il capo delle Nazioni Unite, António Guterres, attraverso il suo portavoce ha chiesto la “moderazione” in Iraq e ha chiesto a tutte le parti di “prendere provvedimenti immediati per ridurre l’escalation delle violenze, secondo il suo portavoce.
Le proteste sono scoppiate anche nelle province meridionali a maggioranza sciita: i sostenitori di Sadr hanno bruciato pneumatici e bloccato le strade nella provincia di Bassora, ricca di petrolio, centinaia di persone hanno manifestato davanti all’edificio del governatorato di Missan.
A luglio, Sadr aveva inviato i suoi seguaci ad occupare il parlamento, mentre chiedeva cambiamenti nel sistema politico. Sadr era stato uno dei principali beneficiari del sistema post-2003, sancito dall’occupazione americana dell’Iraq, e lo aveva usato per consolidare la sua autorità politica. La popolarità acquisita negli anni gli ha garantito un successo elettorale alle ultime elezioni dello scorso ottobre, quando il risultato uscito dalle urne gli ha consentito di ottenere il maggior numero di seggi.
In seguito all’annuncio di Sadr del ritiro e agli scontri scoppiati a Baghdad, l’Iran ha chiuso i suoi confini terrestri con l’Iraq e ha formato i voli verso il Paese, ha esortato gli iraniani a non recarsi in Iraq e ha invitato i pellegrini sciiti iraniani in Iraq che si stavano preparando a visitare l’Iraq per il pellegrinaggio annuale nei siti sciiti, a evitare di spostarsi. Anche il Kuwait ha esortato i cittadini del vicino Iraq a lasciare il Paese. In seguito ai disordini, poi, la compagnia aerea a lungo raggio di Dubai Emirates ha interrotto i voli per Baghdad, dicendo che stava monitorando la situazione da vicino.
Le violenze si sono fermate solo ieri in Iraq, dopo che Sadr in un annuncio pubblico ha chiesto ai suoi sostenitori di ritirarsi dalla Zona verde, scusandosi con il popolo iracheno per gli scontri e i morti: “Questa rivoluzione – ha detto -, finché sarà rovinata dalla violenza, non è una rivoluzione”. I suoi seguaci hanno rapidamente lasciato la zona protetta di Baghdad.
Da amico dell’Iran, durante i 20 anni seguiti alla cacciata di Saddam Hussein, Sadr ha sempre più contestato l’influenza del vicino orientale del paese. I due schieramenti che si sono scontrati negli ultimi giorni sono entrambi sciiti, ma divisi nella posizione sull’Iran. Una tensione tra gli sciiti in un Paese dove la politica è sempre stata condizionata dalla rivalità tra sciiti e sunniti, corrente dell’Islam con più seguici tra i musulmani, ma minoritaria in Iran e Iraq.