La distanza fisica e temporale non basta ad alleggerire il peso della tragedia. La mente corre sempre agli stessi mesi, funesti e terribili, quando il dolore si è presentato prendendosi anche l’anima. Natalia Dolinska è una delle tante donne fuggite dall’Ucraina dall’inizio dell’invasione dalla Russia, lo scorso 24 febbraio. E’ arrivata in Italia dopo un lungo viaggio in pullman. La scorsa estate ha finalmente lasciato il suo Paese in fiamme: ha attraversato l’Ungheria e altri Paesi europei, giungendo a Napoli per tentare di ricominciare. Impossibile farlo, però, se l’invasore ti uccide l’unico figlio che hai.

Aleksander, 40 anni, è stato infatti ammazzato a Irpin lo scorso marzo dai soldati russi. È proprio Natalia, attualmente a Napoli, ospite nel quartiere occidentale di Bagnoli, a rivelare con il volto quasi sempre rigato dalle lacrime cosa ha sconvolto per sempre la sua esistenza. Domenica scorsa era all’ultima marcia organizzata nel capoluogo partenopeo dalla locale comunità Ucraina, per chiedere la pace e gridare slogan contro il leader del Cremlino.

Mentre ci parla, ci mostra le foto di suo figlio felice con la sua famiglia e sulla amata moto.

Il racconto della sparizione

“Quando gli orchi russi sono arrivati a Irpin, a marzo – racconta Natalia Dolinska – mio figlio Aleksander ha cercato di mettersi in salvo tentando di raggiungere sua moglie, i suoi figli e me in automobile, per poi fuggire. L’idea era di lasciare quel posto pieno di russi e ripararsi altrove”. Ma il 40enne non ha fatto in tempo a mettere in pratica il suo piano. “Un giorno – rivela Natalia – era in auto per raggiungerci e si è imbattuto in alcuni militari russi scesi dai carri armati. Aleksander ha tentato di dire loro che non era un combattente ma che lavorava nel settore immobiliare e che quindi era un civile. È stato tutto inutile, i russi lo hanno arrestato e portato via con la forza. Nell’ultima conversazione avuta con sua moglie ha anche detto di essere stato picchiato”. Il mese era quello di marzo, quando i russi – si scoprirà poi nei mesi successivi, dopo la liberazione da parte dell’esercito ucraino – hanno commesso ogni tipo di atrocità: arresti di massa, interrogatori duri accompagnati da torture, esecuzioni sommarie, distruzione di case e infrastrutture. Dopo la sua sparizione, di Aleksander nessuna traccia: sua madre, la moglie e i figli non più saputo nulla. Sino alla scoperta più terrificante.

L’epilogo tragico

Natalia prosegue nella narrazione della tragedia. “Per un mese sono andata in giro con un asciugamano bianco (per non essere scambiata per combattente, ndr.) a cercare Aleksander in tutti i posti dove poteva essersi nascosto, senza però rintracciarlo. Ad aprile, quando l’esercito ucraino ha cacciato finalmente i russi, abbiamo scoperto il suo corpo senza vita sotto una coltre di spazzatura con le mani legate: era stato sparato. Sono stata vicino al posto dove è stato sepolto per tre mesi, nonostante la nostra casa fosse oramai”, racconta, mostrando le foto dell’edificio in macerie. “Non volevo staccarmene”.

Nemmeno l’ospitalità trovata a Napoli da conoscenti è servita. Natalia piange, si dispera, si chiede come mai l’unico figlio che aveva ha subito una sorte così tragica. Quesito che resterà senza un vero perché.

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