Lunghe attese per gli accessi alle Rems, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza dove indirizzare i detenuti con fragilità psichiatriche. Un malfunzionamento non da poco, che contribuisce al sovraffollamento delle carceri in tutta Italia. A denunciare la problematica, tra i tanti, c’è Stefano Anastasia, portavoce della Conferenza nazionale dei garanti regionali e territoriali.
Chiarimenti
Innanzitutto va specificato cosa siano le Rems. Si tratta di strutture introdotte grazie alla legge del 30 maggio del 2014 (conversione del decreto legge del 31 marzo 2014 numero 52) con la quale si è definitivamente avviato il percorso della chiusura degli ospedali psichiatrici (Opg). La cessazione dell’esistenza degli Opg è divenuta effettiva il primo aprile 2015 a completamento che la legge numero 9 del 17 febbraio 2012 aveva cominciato. C’è da aggiungere che le Rems sono state escluse dal circuito penitenziario. Secondo quanto disposto dall’articolo 3-ter comma 2 del 17 febbraio 2012, intitolato “Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari’’, per le Rems sono previste soltanto attività perimetrali di sicurezza organizzate dalle singole Regioni e in accordo con le Prefetture.
Le misure alternative al carcere
Il portavoce della Conferenza nazionale dei garanti regionali e territoriali, Anastasia, ricorda come nel 2019 “una sentenza della Corte Costituzionale firmata dall’ex ministro per la Giustizia, Marta Cartabia, all’epoca in cui era presidente della Corte, affermi che le persone con gravi disturbi psichiatrici debbano accedere a misure alternative al carcere, anche al di fuori delle Rems”. Nella sentenza è specificato, tra le altre cose, che in caso di sopravvenuta malattia mentale il giudice deve valutare se le condizioni siano o meno compatibili con il regime carcerario. La mancanza di qualsiasi alternativa al carcere per il detenuto o la detenuta affetta da fragilità psichiatrica, viene a tutti gli effetti definito come un trattamento inumano. Tra i punti dirimenti negli approfondimenti del giudice per disporre misure alternative: il quadro clinico del detenuto, la sua pericolosità, le sue condizioni sociali e familiari, le strutture e i servizi di cura offerti dal carcere.
“A livello nazionale – afferma il portavoce della Conferenza nazionale dei garanti regionali e territoriali – i posti Rems sono circa 600. Tra chi è in carcere e chi è fuori, ce n’è un centinaio in attesa di entrarvi”. Premesso questo, sottolinea Stefano Anastasia, “le persone con problemi di salute mentale dovrebbero stare a casa loro. Chi ha invece commesso un fatto grave può essere messo in una struttura psichiatrica. Il Rems dovrebbe essere l’estrema ratio”.
Dunque, secondo il portavoce dei garanti delle varie regioni e territori, è l’intero sistema rispetto alla tutela psichiatrica del detenuto a non funzionare affatto. Che esso sia farraginoso lo dimostra anche il numero esiguo di Rems in una regione come la Campania, con un sovraffollamento carcerario secondo soltanto a quello della Lombardia: soltanto due, una a Calvi Risorta in provincia di Caserta e uno a San Nicola Baronia in provincia di Avellino. Al loro interno si è raggiunto il numero massimo di 40 (16 destinati a misure di sicurezza provvisorie), e 70 persone attendono di entrarci.
I numeri non rispettati
Le Rems sono affollate in tutt’Italia e nei fatti non rispettano quanto previsto dal Decreto del Ministro della Sanità datato 1 ottobre 2012 che indica come ogni struttura destinata alla cura psichiatrica debba ospitare un numero massimo di 20 persone, con spazi verdi esterni e per la socialità, camere singole o doppie (solo eccezionalmente quadruple), con bagno separato con doccia, cucine, guardaroba, lavanderia, cucina. Lo stesso Decreto fissa dei termini anche per quanto riguarda la cura: per i 20 pazienti sono previsti a tempo pieno 12 infermieri, 6 operatori socio sanitari, 2 medici psichiatri con reperibilità festiva e notturna, un educatore o tecnico di riabilitazione psichiatrica, un assistente sociale a cui affidare lo svolgimento di programmi terapeutici e riabilitativi e di inclusione sociale. La situazione di queste strutture richiamano, pur nelle differenze, quelle che si vivono giornalmente nelle stesse carceri.
Ridurre il numero dei detenuti
“Va ridotto il numero dei detenuti per offrire a chi è dentro e al personale le migliori condizioni di vita e di lavoro”, insiste Anastasia. E aggiunge: “Il governo che ha dinanzi a sé una prospettiva di legislatura non avrà alibi ad affrontare la questione carceraria nel suo complesso”. E ancora: “Occorrono più misure alternative alla carcerazione, sappiamo che gli autori di gravi reati o legati ad organizzazioni criminali sono una minoranza, 10-15-20.000, non di più, gli altri sono detenuti per condizione e stili di vita marginali per i quali servono investimenti fuori, sul territorio. Le parole del neo ministro della giustizia Carlo Nordio sono importanti perché ha detto che occorre depenalizzare e non usare il carcere per qualsiasi cosa”.
Il sovraffollamento delle carceri dal gennaio al giugno 2022
Secondo fonti del Ministero della Giustizia, al 30 giugno si sono registrati in tutt’Italia 54841 detenuti su una capienza regolamentare di 50900 di cui 2314 donne e 17182 stranieri, 996 detenuti sono in semilibertà, 159 di questi stranieri. La fascia d’età dove si registra il numero più alto di detenuti è quella 50-59, pari a 10254.