Luiz Inàcio Lula da Silva diventa Presidente del Brasile per la terza volta. Lo scorso 30 ottobre ha vinto il ballottaggio con il 50,9 per centro dei voti, contro il 49,1 dei voti del presidente uscente, Jair Bolsonaro.
Dall’inizio delle elezioni presidenziali del 2022, in Brasile non era chiaro se il Presidente brasiliano post-dittatura, Jair Bolsonaro, sarebbe stato rieletto o meno, lo conferma il fatto che il primo turno elettorale del 2 ottobre 2022, ha aperto un’aspra contesa tra Bolsonaro e Luiz da Silva.
Luiz Inàcio Lula da Silva, 77 anni, nato da una famiglia indigente a Caetés, ha iniziato la sua militanza politica nel Partito Trabalhadores (PT) il 10 febbraio del 1980. Il PT è un partito progressista nato il 10 febbraio 1980, in opposizione al governo militare brasiliano, noto anche come ‘regime dei Gorillas’.
Fino al 24 gennaio 1994, Lula è stato il leader del PT. In seguito, nella campagna presidenziale del 2002, dopo aver sconfitto José Serra del Partito della Social Domocrazia Brasiliana (PSDB), il 1° gennaio del 2003 ha assunto la carica di Presidente del Brasile.
Poi, il 29 ottobre del 2006, sconfiggendo Geraldo Alckimin, candidato del PSDB, Lula viene riconfermato presidente.
Il 7 aprile del 2018, di sua spontanea volontà, Lula si consegna alla Polizia Federale in quanto sulla sua testa pende un mandato d’arresto: già nel 2016 era rimasto coinvolto nella Operacao Lava Jato (ossia “Operazione Autolavaggio”) ed era stato accusato di corruzione e riciclaggio.
Detenuto a Curitiba nel 7 aprile del 2018, nel 2019, dopo 580 giorni di prigionia, Lula viene rilasciato, con la decisione della Corte suprema di lasciare in libertà, fino alla decisione definitiva, gli imputati di cui non è ancora stata accertata la colpevolezza possono rimanere in libertà. Il Tribunale Supremo Federale del Brasile proscioglierà Lula da ogni accusa il 7 marzo del 2021.
Il dopo-Bolsonaro
Il 2 gennaio 2023 Lula entrerà ufficialmente in carica. Il compito che gli spetta è assai arduo. Ciò che lascia il suo predecessore è un paese diviso ed indebolito. Nonostante la dittatura militare autoritaria sia cessata nel 1985, nonostante sia stata approvata una costituzione nel 1988 e nonostante negli anni duemila nel Paese ci sia stato un boom delle materie prime, Bolsonaro è riuscito ad aprirsi una breccia grazie allo stop del boom delle materie prime, grazie al malcontento popolare del 2013, alle indagini anticorruzione del 2014 e al crollo dell’economia nel 2016.
Accoltellato in piena campagna elettorale, Bolsonaro nel 2018 è riuscito ad ottenere il 55% dei voti, presentandosi al Paese come un salvatore. La sua elezione però non ha risollevato per nulla le sorti del Paese. Lo scorso anno Bolsonaro aveva dichiarato pubblicamente le sue avversioni contro il vaccino per il Covid 19, scuotendo così l’opinione pubblica del paese e del resto del mondo. La Corte Suprema brasiliana aveva addirittura ordinato l’apertura di un’inchiesta e Bolsonaro fu incriminato per nove reati commessi nella gestione della pandemia e tra questi crimini vi era anche “crimini contro l’umanità”.
Il malgoverno e la pandemia così non hanno fatto altro che aumentare il tasso di disoccupazione e povertà. In più, c’è da tener conto anche della foresta amazzonica, che è responsabile del cambiamento climatico e della deforestazione, in quanto produce una quantità enorme di anidride carbonica. Nonostante l’età e le avversità, Lula, nel suo discorso pronunciato a Sao Paulo dopo aver vinto le elezioni, in riferimento al Brasile parla di “grande nazione”. Una sorta di invito per i cittadini ad unirsi affinché gli equilibri precari del Paese si possano ristabilire.