Un lavoro costante per permettere il reinserimento nella società delle detenute della casa circondariale femminile di Pozzuoli così efficace da meritarsi l’attenzione del Quirinale che ha deciso di conferire il prossimo 31 marzo alla presidente Imma Carpiniello il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. La cooperativa Lazzarelle, nata nel 2012, rappresenta una vera speranza di cambiamento per quelle donne che, conosciuta la sofferenza del carcere dove sono finite per aver commesso dei reati, decidono di cambiare prospettiva di vita una volta esaurito il loro periodo della pena. Il progetto è incentrato sull’attività di torrefazione attraverso la quale le detenute della casa circondariale di Pozzuoli, in provincia di Napoli, preparano varie miscele di caffè, cappuccino, tè, poi messi in commercio tramite punti vendita e shop. Si tratta di un impiego a tutti gli effetti per queste donne desiderose di riscatto, con un compenso ricevuto per quanto prodotto.
L’attività delle Lazzarelle
Carpiniello ha ricevuto la notizia sulla prossima onorificenza lo scorso 25 febbraio. Si legge nella motivazione: “Per il suo impegno nella valorizzazione del lavoro delle detenute all’interno del carcere offrendo loro un’opportunità di riscatto per una vita diversa dopo la detenzione’’. La presidente della cooperativa Lazzarelle spiega a Tell: “Puntiamo con la nostra cooperativa sull’autonomia delle donne. Questa può realizzarsi soltanto se si ha un lavoro, uno stipendio e acquisendo delle competenze”. Secondo Carpiniello “il carcere è un posto strano, fuori dall’agenda politica. Con Lazzarelle abbiamo creato qualcosa che fosse sostenibile. Ci siamo accorte – si dice convinta – che se ci fosse stato un sistema di Welfare migliore molte donne non sarebbero entrate in carcere, così come non ci sarebbero finite se il sistema dell’istruzione funzionasse davvero. Molte donne hanno abbandonato i percorsi scolastici e poi sono finite in carcere prendendo determinate strade”. In proposito, la prossima cavaliera della Repubblica Italiana ricorda come “spesso le donne che entrano nella casa circondariale, seppur giovanissime, sono addirittura già nonne ed è un ciclo che si ripropone: ragazzine che hanno avuto figlie a 16 anni, le loro figlie a loro volta hanno talvolta figli a 16 anni”.
Attualmente sono 5 le detenute di Pozzuoli che fanno parte della cooperativa, ognuna con un regime diverso di pena da scontare, 85 dal 2012 a oggi. Concluso il lavoro di torrefazione in carcere, tantissime donne hanno ritrovato il sorriso e una propria strada. Aggiunge Carpiniello: “Quando qualcuna va via ne entrano delle altre all’interno del carcere. Questo perché noi pensiamo di non essere l’approdo per queste donne, ma un punto di partenza. Per individuare le donne abbiamo una metodologia. L’area educativa ci segnala delle possibili persone che possono venire da noi e che possono accedere ai benefici di legge, è quello l’elemento fondamentale”.
Le detenute che operano nella torrefazione non lo fanno nell’area detentiva e il riferimento è l’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario che consente il lavoro esterno dei detenuti. Le donne sostengono un regolare colloquio di lavoro e si prendono in esame il background e le condizioni delle aspiranti lavoratrici della cooperativa. Carpiniello rafforza e amplia il concetto legato alla necessità per le detenute di lavorare per poter riemergere: “Il lavoro dentro al carcere è anche più importante rispetto a quello fuori. Nel periodo detentivo la legge prevede che il detenuto debba pagare una quota mantenimento. Lo stigma è forte, in un momento in cui esci e la cosa che ti viene più facile da fare è la donna delle pulizie ma chi si metterebbe in casa una persona che è stata in prigione?”. Inoltre, “il carcere ti garantisce delle cose ma non altre. Esempio concreto: noi donne mensilmente abbiamo il ciclo, succede che gli assorbenti non ti sono garantiti per le tue cose personali e quindi devi acquistarli. Nelle case circondariali c’è soprattutto la povera gente, ecco perché è importante l’indipendenza. Ricordo una donna inserita nel nostro progetto che con i soldi guadagnati ha comprato i libri di scuola per i figli”.
Il Bistrot come ulteriore opportunità
Non solo la Cooperativa. Lazzarelle è anche il nome del bistrot inaugurato nel luglio 2020 all’interno della Galleria Principe di Napoli, a pochi passi dal Museo Archeologico Nazionale e dall’Accademia delle Belle Arti.
Si tratta di un’ulteriore opportunità per le detenute che possono beneficiare di misure alternative alla continua detenzione in carcere e in cella. A gestirlo, sempre chi ha fondato la cooperativa. A lavorarci, chi già conosce le attività delle Lazzarelle. Afferma sempre Imma Carpiniello: “Il meccanismo è simile a quello delle donne che lavorano nella torrefazione. Ci sono detenute che, uscite la mattina dal carcere per far rientro la sera, lavorano da noi preparando il caffè e servendo ai tavoli del bistrot. Si tratta di donne in regime di semilibertà, che hanno avuto accesso all’articolo 21 con già 2/3 della propria pena scontata”. E qui la presidente fa una precisazione: “Ogni donna che è stata con noi ci ha lasciato un pezzetto, ognuna ha dato il proprio apporto. Non c’è nessuna che non abbia modificato, anche impercettibilmente, il modo di stare insieme agli altri. Con onestà dico c’è stata una percentuale, seppur minima, di donne che non avevano la volontà di cambiare. Noi diamo un’opportunità, poi ognuno decide cosa fare”. Tutta l’attività sarà ricordata nella prossima cerimonia al Quirinale del 31 marzo. “Sono molto contenta che ci sia Sergio Mattarella, un presidente della Repubblica di grande spessore, a conferire l’onorificenza. Riceverla da lui avrà un valore ulteriore”, conclude Carpiniello.
Le testimonianze
Al Bistrot, nella giornata in cui ci rechiamo, sono a lavoro Anna e Tanguye due detenute del carcere di Pozzuoli che hanno incrociato sul loro cammino Lazzarelle. Entrambe ci raccontano le loro storie e soprattutto la volontà di lasciarsi l’esperienza del carcere definitivamente alle spalle una volta saldato il debito con la giustizia.
Anna, 44 anni, è originaria di San Giorgio a Cremano, comune alle porte del capoluogo. Nonostante sia temprata, trema quando parla di una parte della sua vita. Infatti, preferisce non voltarsi indietro ma guardare in avanti grazie anche al percorso di 3 anni intrapresa con la cooperativa e ora il bistrot. Attualmente è sottoposta al regime di semilibertà: esce dal carcere di Pozzuoli ogni giorno alle 7 del mattino per rientravi alle 22, in attesa di riuscire il giorno successivo. “Ho fatto un anno alla torrefazione in carcere a Pozzuoli imparando a tostare il caffè, vedendo per la prima volta un chicco originale. Sono da quasi 2 anni al bistrot avendo avuto l’opportunità di poter finalmente uscire”, le sue parole.
Anna è risoluta nel dire che “è stata la prima volta e l’ultima volta che sono finita in carcere. Può capitare di sbagliare, io ho cercato di tirare da dentro di me il meglio da questa bruttissima esperienza tentando subito di inserirsi subito nel sistema educativo del carcere, affidandosi agli educatori lavorando come bibliotecaria e facendo volontariato”. La 44enne napoletana guarda al sistema carcerario come qualcosa di sempre più lontano, proprio perché la cooperativa Lazzarelle le ha indicato una direzione. “Quando entri ti senti spaventata, disorientata, però quando entri non riesci a capire dove sei, come funziona, è tutto una serie di dinamiche e ci sono regole del carcere”. Anna non vuole guardare a lungo termine, ma raggiungere obiettivi a breve scadenza. Quello più vicino è il conseguimento della laurea in Economia e Commercio alla Federico II. “Mi mancano 3 esami, spero di discutere la tesi in estate. Le esperienze ti portano a non immaginare un futuro lontano. Adesso quello che ho è tanto, compreso il poter vedere i miei due genitori che sono ancora vivi. Il fatto di avere delle ore libere tra il lavoro al bistrot e il rientro in carcere, mi consente di far loro visita”. Anna però ha un tarlo, cresciuto nel periodo più pesante della pandemia da Covid. Con il decreto legge 137/2020 (decreto ristori) poi prorogato con l’articolo 11 del d.l. 56/2021 “ai detenuti in semilibertà è stata data la possibilità di tornare a casa e non in carcere”. Questo dispositivo per Anna è durato sino al 7 gennaio 2023 quando è stata costretta a tornare in carcere la sera visto che è ancora in regime di semilibertà. “È stato un momento sconfortante. Potevo benissimo continuare a tornare a casa per la notte, credo di aver dimostrato il mio impegno a cambiare rispettando tutte le prescrizioni”.
Accanto ad Anna c’è Tanguye, 40 anni originaria della Tanzania. Anche lei lavora al bistrot, dopo aver conosciuto la cooperativa Lazzarelle esattamente un anno fa, il 3 marzo 2022.
“Io esco alle 8.30 dal carcere di Pozzuoli e vi faccio rientro alle 20.30, una cosa pesante perché assaggi la libertà per gran parte della giornata per poi tornare in un posto dove, quando ci sono finita, mi aveva fatto perdere la speranza ritrovata grazie alla cooperativa che mi sta facendo vedere per me un futuro. Il carcere è duro, doloroso, vivi in celle affollate. Non puoi andare a salutare i tuoi familiari se muoiono”. La donna di 40 anni deve scontare ancora 3 anni “ma ho chiesto di poter andare a casa. Ho trovato un alloggio, ora attendo la risposta dei giudici che potrebbe arrivare già in questi giorni dopo gli opportuni controlli”. Tanguye poi racconta qualcosa della sua sfera personale: “I miei genitori sono morti entrambi e in Tanzania ho ancora mio fratello e mia sorella. All’inizio mi hanno giudicata negativamente per i miei sbagli ma poi ho recuperato i rapporti e ora li sento sempre tramite whatsapp. Mi sostengono entrambi, perché hanno capito che non voglio più commettere errori ma trovare un lavoro stabile qui in Italia e guardare al futuro”.