Un lungo viaggio dal Mali sino all’Italia, intrapreso appena 13enne. In mezzo, le vessazioni e le violenze subite in Libia in uno dei tristemente noti centri di detenzione più somiglianti a dei lager, in attesa per mesi di partire dopo aver pagato in tutto 800 euro ai trafficanti di essere umani. Oggi, dopo ben 7 anni di battaglie, diversi lavori e studi per imparare la lingua italiana, arriva il permesso di soggiorno quinquennale che gli permetterà di tornare momentaneamente nel suo Paese per riabbracciare la sua famiglia, che non vede da quando è partito e senza temere di non poter rientrare nel nostro Paese perché irregolare.
A soli 24 anni, la vita di Famaka Dembele è già decisamente piena. Ospite dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde di via Arcangelo Ghisleri del quartiere napoletano di Scampia, dove è arrivato attraverso il Peg, il Percorso di Autonomia Guidata del Comune di Napoli del 2017, Famaka è nel novero dei tanti minori non accompagnati giunti tra mille peripezie in Europa per avere un futuro migliore. Tell lo ha incontrato proprio all’Officina delle Culture, in uno dei giorni di ferie dal lavoro di barista in un locale di Sant’Antimo, in provincia di Napoli, dove può godere di un contratto in regola.
La storia di Famaka
Il protagonista di questa storia non ha problemi a rievocare il difficile passato. I ricordi negativi, seppur vividi, non gli sopiscono il dolce sorriso. “Ho lasciato da solo la città Kita (nella regione maliana di Kayes, non lontano dal confine con Senegal e Mauritania, ndr.) – racconta Famaka – Avevo appena 13 anni, all’epoca, e intrapresi un lungo viaggio dal Mali al Niger attraversando il deserto, senza conoscere nessuno. In tutto eravamo 160, me lo ricordo bene. Nel frattempo ho lavorato per alcuni mesi come muratore’’, racimolando qualche soldo per continuare la traversata fino a destinazione Europa. Famaka chiama “gli arabi” i libici che l’hanno condotto in auto nel Paese nordafricano. Nelle auto condotte “dagli arabi’’, i migranti “venivano stipati anche nei portabagagli’’. Proprio la Libia viene considerato da molte organizzazioni non governative e umanitarie Paese dal porto non sicuro, visto quanto subiscono i cittadini di diverse nazioni del Corno d’Africa e dell’Asia che sperano nell’approdo nel Vecchio Continente per lasciarsi alle spalle fame, carestie, guerre, povertà.
Le violenze subìte in Libia
Famaka ricorda le violenze subìte: “In Libia ho passato in tutto 6 mesi e ho tentato due volte di imbarcarmi per l’Europa. La prima volta ho pagato il corrispettivo di 500 euro, ma sono rimasto lì aspettando per ben 2 mesi di partire. In realtà il viaggio non è mai avvenuto; le autorità libiche mi hanno portato in un centro di detenzione nonostante avessero già intascato la somma, molto consistente se paragonato al cambio con la Cfa, la nostra valuta’’. Le strutture di filtraggio delle persone in Libia hanno davvero poco di umano, come è ormai notorio.
“La paura era tanta – rievoca il 24enne maliano – Non ci facevano mai uscire, le donne venivano violentate dai carcerieri dinanzi ai figli e gli altri, me compreso, subivano pestaggi. Io sono stato picchiato dai poliziotti (armati pure di pistole e fucili) con un bastone. Spesso mi punivano colpendomi forte alle mani. Onestamente, non so dire in quale area della Libia esattamente fossi’’. L’obiettivo delle aggressioni? Lo stesso di sempre: intascare soldi per consentire la partenza dai familiari dei migranti, avvertiti e posti di fronte a degli aut aut. La minaccia, in caso di mancato pagamento, può essere anche l’uccisione dei prigionieri. Si tratta di un vero e proprio ricatto sulla pelle dei disperati. “Non dimenticherò mai quei momenti e nemmeno gli spari che udivo’’, afferma Famaka. Dopo alcune settimane, arriva il momento della partenza. Questo, ovviamente, dietro pagamento di un’altra somma di danaro che questa volta è pari a 300 euro. “Abbiamo aspettato 25 giorni prima dell’ok. Sul barcone eravamo 130, altri minori non accompagnati come me, madri e padri con figli piccoli in braccio. Onestamente non ricordo il porto libico di partenza, perché non ci facevano mai vedere davvero dove eravamo. Ricordo però che la traversata nel Mar Mediterraneo è durata circa due giorni. Ricordo perfettamente anche la data di arrivo a Lampedusa: 23 dicembre 2015’’.
L’approccio con l’Italia e il primo contatto con la famiglia
A soccorrere a largo delle coste siciliane quel 23 dicembre 2015 Famaka e gli altri migranti, arrivati fortunatamente tutti sani e salvi, la Guardia Costiera italiana. “Grazie a un telefono satellitare ci hanno individuato e dopo 6 ore sono state completate le operazioni di sbarco a Lampedusa’’ spiega Famaka, che rimase nell’hotspot dell’isola. Successivamente, il trasferimento in una comunità ad Agrigento: “Ci sono rimasto due mesi – le parole di Dembele – ma non è andato tutto per il verso giusto. Io e altre persone che eravamo nel centro abbiamo addirittura aspettato un mese per avere un pantalone nuovo, una maglietta di ricambio, un paio di scarpe diverse da quelle del viaggio. Quando decidevo di asciugare i miei indumenti senza aver ricevuto quelli nuovi, sono rimasto addirittura in mutande. Mi davano da mangiare e bere, ma non potevo uscire. Io volevo giocare al calcio, studiare, conoscere persone, e invece niente”. Il momento più emozionante di quel lasso di tempo, come è facile intuire, è stato il nuovo contatto con la famiglia. Famaka ha un fratello di 19 anni (Musa), una sorella di 16 (Mbamori) e sua madre Jallo di 43. Suo padre, invece, un commerciante di attrezzi di auto e ferramenta, è stato ucciso dai banditi in Mali. “A Lampedusa ero senza telefono e non potevo parlarci. Soltanto ad Agrigento mi hanno dato un cellulare grazie al quale ho contattato su Facebook mio fratello. Musa non poteva crederci che fossi vivo e che ce l’avessi fatta. Che commozione parlare con mia madre’’.
L’arrivo a Napoli, i lavori e il futuro sorridente
Dopo Agrigento, Famaka arriva a Napoli e per una settimana alloggia in un piccolo hotel in zona piazza Garibaldi, nei pressi della stazione centrale, dove vive una forte comunità africana proveniente da vari Paesi. “Ero spaventato, avevo 16-17 anni e non conoscevo nessuno. Alcuni miei connazionali mi hanno aiutato e sono riuscito a trovare una struttura per migranti minori di Santa Maria a Vico, nel casertano, in cui sono stato accolto benissimo e ho iniziato a studiare l’italiano’’ sottolinea Famka. Dopo 8 mesi in quel centro, al compimento dei 18 anni, un nuovo cambio: Famaka arriva all’Officina delle Culture Gelsomina Verde di Scampia, che nel 2017 aderisce al Percorso di Autonomia Guidata del Comune di Napoli rivolto ai giovani migranti maggiorenni di età compresa tra i 18 e i 22 anni. “Ciro Corona, il punto di riferimento della struttura – è grato Dembele – mi ha accolto lì e non finirò mai di ringraziarlo. Piano piano sono riuscito a inserirmi nel mondo del lavoro come cameriere e barista e avere permessi lavorativi rinnovati di 6 mesi in mesi’’. Non senza alcune difficoltà. “In un bar di Mugnano di Napoli avevo un contratto di 6 ore, a 600 euro al mese, ma lavoravo anche 15 o 16 ore. Ho resistito 3 anni soltanto perché buona parte della paga serviva alla mia famiglia in Mali. All’uccisione di mio padre io ho dato una mano in casa continuando il suo lavoro e mungendo le mucche da cui prendevamo il latte da vendere. Ho smesso di studiare per aiutare in casa e poi sono partito per un futuro migliore. Tra l’altro, quel bar che mi pagava poco rispetto alle ore di lavoro, dopo un mese che me ne sono andato ha chiuso’’.
La data spartiacque e il momentaneo ritorno in Mali
Per Famaka Dembelè, la data spartiacque è quella dell’8 agosto 2023. “Alle 16.30 e 40 secondi dell’8 agosto di quest’anno sono andato all’Ufficio Immigrazione della Questura di Napoli per ritirare il permesso di soggiorno quinquennale, che conservo bene insieme ai miei documenti d’identità. La sera a letto ancora guardo questi documenti e non ci posso credere, dopo tutto quello che ho passato. Sono davvero felice, posso sperare in un avvenire migliore’’. Ora Famaka lavora contrattualizzato in un bar di Sant’Antimo (sempre in provincia di Napoli), dopo un’ulteriore esperienza in un altro locale (chiuso anch’esso) sempre grazie all’Officina delle Culture di via Arcangelo Ghisleri dove il giovane ha la residenza e dove conduce gli studi di italiano grazie a una insegnante messa a disposizione dalla stessa Officina delle Culture. Presto – altra buona notizia – Famaka si diplomerà. Sul nuovo lavoro dice: “In questo nuovo bar la paga buona, ho la tredicesima, quattordicesima, faccio 8 ore di lavoro e non di più e ho anche la stima dei colleghi. Io voglio restare a Napoli, continuare a fare il barista perché mi piace. So fare il caffè, i cocktail e mi piace parlare con la gente’’. Alla gioia per il futuro che sta costruendo, si aggiunge quella del momentaneo ritorno in Mali. “Partirò a dicembre e ci starò 3 mesi, il mio datore di lavoro ha accolto la mia richiesta senza fare obiezioni. Non vedo l’ora di riabbracciare mio fratello, mia sorella e mia madre, che però non vorrebbe che Musa e Mbamori partissero per l’Italia per non subire quello che ho subito io. Spero – dice ancora – che il Mali possa uscire dalla crisi economica (il Paese ha vissuto due golpe in meno di 2 anni nel 2020 e nel 2021 con protagonisti i militari, ndr.) e che non sia più depredato delle sue ricchezze come il petrolio, il diamante e oro, sfruttati al 70% da nazioni straniere come i francesi che ci hanno colonizzato. I maliani hanno il diritto a costruirsi un futuro prospero’’. Proprio come Famaka ha fatto soffrendo tanto in giovanissima età, iniziando però a invertire la rotta dopo tanti ostacoli.
L’Officina delle Culture
Ciro Corona, dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde, intitolata alla giovane vittima innocente di camorra della faida di Scampia-Secondigliano (e comuni limitrofi dell’area a Nord di Napoli) tra il 2004 e il 2005, dal canto suo dice: “Dare un’opportunità di futuro a chi scappa da contesti complicati è l’obiettivo dei beni comuni. Altri ragazzi stranieri di diversa nazionalità sono stati protagonisti del Peg con il Comune di Napoli ma hanno preferito utilizzare l’Italia come Paese di transito. Famaka, al contrario, vuole vivere a Napoli città che gli piace molto’’. Sul futuro dell’Officina, dopo la scadenza diversi anni fa del contratto, cosa si può dire? “Siamo in attesa che Comune e Asìa (la società partecipata pubblica che si occupa dei rifiuti a Napoli e che è risultata essere proprietaria dell’edificio di via Arcangelo Ghisleri ndr.) determinino la permuta (scambio di titolarità di due edifici di pari valore ndr.). Il nuovo contratto prevede l’utilizzo per noi di Officina delle Culture di quest’edificio per 7 anni + 7 con un canone mensile di 2000 euro che tutte e 10 le realtà di varia natura che utilizzano lo spazio contribuiranno, ognuna per la propria parte e possibilità, a pagare al Comune’’. Intanto, chiosa Corona, “ci siamo costituiti Ats (Associazione temporanea di scopo ndr.) e da un anno attendiamo di essere chiamati alla firma del contratto’’.