“Stop alle violazioni del diritto internazionale“, è l’appello che arriva da giorni dalle organizzazioni internazionali e da diversi leader internazionali preoccupati per l’evolversi delle atrocità nel conflitto israelo-palestinese. “Anche le guerre hanno delle regole”, continuano a ripetere le Nazioni Unite. “La Convenzione di Ginevra protegge i civili nei conflitti e aiuta a garantire che l’assistenza raggiunga coloro che ne hanno bisogno, senza discriminazioni”, ricorda l’Onu, che per avvalorare ciò che sostiene condivide sulle sue pagine web la “Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra”.
Even wars have rules.
The Geneva Convention protects civilians in conflict and helps ensure assistance reaches those in need, without discrimination.https://t.co/CqdkrmJ0hU pic.twitter.com/ob8GF6eZky
— United Nations (@UN) October 31, 2023
Sono quattro le Convenzioni di Ginevra, risalgono del 1949 e, insieme ai due Protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005, costituiscono il fulcro del diritto internazionale umanitario. Sono state redatte con lo scopo primario di proteggere le persone che non partecipano, o che non partecipano più, a un conflitto armato: civili, personale sanitario, feriti, malati, prigionieri di guerra, internati.
Riguardo alla protezione dei civili, le convenzioni prevedono, tra le varie norme, il divieto di attaccare i civili, stabiliscono che in guerra siano garantite le cure a malati e feriti, che si proteggano beni e infrastrutture civili, come ospedali e ambulanze, materiale e aiuti medici, beni culturali rilevanti e luoghi di culto, proibiscono la distruzione di beni e infrastrutture che hanno un’importanza vitale per la popolazione civile, come gli impianti per l’acqua potabile. Secondo quanto recita l’articolo 3, sono vietati “la violenza contro la vita e la persona, in particolare l’assassinio di ogni tipo, mutilazione, trattamenti crudeli e tortura, cattura di ostaggi, oltraggi alla dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti”.
La cattura di ostaggi e l’uccisione indiscriminata di civili da parte di Hamas nel giorno dell’attacco a Israele lo scorso 7 ottobre, e l’attacco di civili e di infrastrutture civili, di chiese, moschee, campi profughi, a Gaza da parte di Israele, sembrano chiare violazioni del diritto internazionale. Negli ultimi giorni, degli attacchi aerei israeliani non hanno risparmiato le immediate adiacenze dell’ospedale dell’amicizia turco palestinese, a Gaza City, il principale ospedale oncologico di tutta la Striscia, dove – ha scritto l’Oms su X – “I servizi sono stati gravemente ridotti a causa dell’interruzione dell’elettricità e dell’ingresso limitato di medicinali, altre forniture mediche, carburante e acqua. Attualmente sta dando rifugio agli sfollati interni”.
Extremely concerning reports of airstrikes in the vicinity of the Turkish-Palestinian Friendship Hospital in the last two days.
The hospital is the main cancer centre in the Gaza Strip. Services have been severely reduced because of cut-off of electricity and restricted entry… pic.twitter.com/DnqeTjHUwH
— WHO in occupied Palestinian territory (@WHOoPt) October 31, 2023
Israele ha diritto a difendersi, ma nella difesa dovrebbe rispettare due criteri: non coinvolgere i civili nei combattimenti, che vanno distinti dai militari, e rispondere agli attacchi in modo “proporzionato”, senza colpire i civili in modo eccessivo rispetto all’obiettivo militare che ci si intende perseguire nell’assedio. Una risposta sproporzionata rappresenta una “punizione collettiva” e quindi un crimine di guerra. Ad oggi, secondo il ministero della Sanità di Hamas, sono più di 8.500 le persone uccise a Gaza nei bombardamenti di Israele, più di 3.450 bambini sono bambini secondo l’Unicef. Negli attacchi di Hamas del 7 ottobre sono state uccise 1.400 persone e 239 sono state rapite.
Molto discussa è anche la decisione di Israele di bloccare la fornitura di acqua, cibo, energia elettrica a Gaza. Secondo il primo protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, del 1977, è “vietato attaccare, distruggere, asportare o mettere fuori uso beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, quali le derrate alimentari e le zone agricole che le producono, i raccolti, il bestiame, le installazioni e riserve di acqua potabile e le opere di irrigazione”. Israele motiva il suo blocco con la necessità di evitare che i beni di prima necessità finiscano nelle mani di Hamas, possibilità contemplata nel protocollo. Ma non affamare la popolazione resta sempre la priorità e attualmente il rischio che ciò avvenga è molto alto: l’acqua scarseggia e per accaparrarsi qualche pezzo di pane si resta in fila per ore. L’Unicef, agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei bambini, ritiene che le morti infantili causate dalla disidratazione rappresentano “una minaccia crescente”. I bambini si stanno ammalando perché bevono acqua salata o contaminata. Il portavoce James Elder, in una conferenza stampa a Ginevra, ha detto che a Gaza attualmente l’acqua a disposizione è pari al 5% della normale produzione giornaliera.
Il blocco del carburante rischia di paralizzare gli ospedali, dove i medici, senza elettricità e con poche medicine a disposizione, sono in una situazione in cui devono scegliere chi curare. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, a Gaza è imminente una “catastrofe sanitaria pubblica”. Il portavoce dell’OMS Christian Lindmeier afferma che per “il sovraffollamento, il danno alle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie”, la “catastrofe è imminente per la salute pubblica”.
L’assenza di una zona neutralizzata a Gaza dove garantire riparo ai civili non coinvolti nei combattimenti è l’altra questione su cui sono state mosse molte critiche contro Israele. I palestinesi non sono al sicuro da nessuna parte lungo la Striscia. Dopo l’avvertimento delle forze israeliane di evacuare il nord, non si sono risparmiati attacchi nemmeno a Sud e molto famiglie sono tornate indietro. La Convenzione per la protezione dei civili in tempo di guerra stabilisce che si possono “costituire sul loro rispettivo territorio e, se necessario, sui territori occupati, delle zone e località sanitarie e di sicurezza organizzate in modo da proteggere dagli effetti della guerra i feriti e i malati, gli infermi, le persone attempate, i fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, le donne incinte e le madri di bambini d’età inferiore ai sette anni”. Poi continua: “Sin dall’inizio di un conflitto e durante lo stesso, le Parti interessate potranno conchiudere tra di loro degli accordi relativi al riconoscimento delle zone e località da esse costituite. Ognuna delle Parti belligeranti potrà, sia direttamente, sia per il tramite di uno Stato neutrale o di un ente umanitario, proporre alla Parte avversaria la costituzione nelle regioni dove si svolgono combattimenti, di zone neutralizzate destinate a porre al riparo dai pericoli dei combattimenti, senza distinzione alcuna, le persone seguenti: i feriti e i malati, combattenti o non combattenti; le persone civili che non partecipano alle ostilità e che non compiono alcun lavoro di carattere militare durante il loro soggiorno in dette zone”.
E’ il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) che è custode e promotore del diritto internazionale umanitario e che vigila sul rispetto delle Convenzioni di Ginevra e dei protocolli aggiuntivi. L’origine del diritto umanitario internazionale è legata alla nascita della Croce Rossa, e risale al 1864 quando, dopo la battaglia di Solferino, il Consiglio federale svizzero convocò la conferenza diplomatica in cui dodici Stati europei firmarono la prima Convenzione di Ginevra per la protezione dei soldati feriti.
In merito all’esecuzione della Convenzione, nella parte finale si stabilisce che “ciascuna Alta Parte contraente prenderà le misure necessarie per reprimere tutti gli atti contrari alle disposizioni della presente Convenzione, diversi dalle violazioni gravi definite nell’articolo seguente. In ogni caso, gli imputati beneficeranno delle garanzie di un processo e di una difesa adeguati”, e si definiscono come “violazioni gravi” quelle che “comportano uno qualsiasi dei seguenti atti, se commessi contro persone o beni protetti dalla presente Convenzione: omicidio volontario, tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici, che causano intenzionalmente grandi sofferenze o lesioni gravi a corpo o salute, la deportazione o il trasferimento illegale o la detenzione illegale di una persona protetta, costringendo una persona protetta a prestare servizio nelle forze di una Potenza ostile, o privando intenzionalmente una persona protetta dei diritti ad un processo giusto e regolare prescritti nella presente Convenzione, presa di ostaggi e distruzione e appropriazione su vasta scala di proprietà, non giustificate da necessità militari e effettuate illegalmente e in modo sfrenato”.
Nella realtà le violazioni del diritto umanitario sono complesse da perseguire perché sono difficili da dimostrare e possono avere ripercussioni nei rapporti tra gli stati. Un organismo fondamentale per l’applicazione del diritto internazionale umanitario è la Corte penale internazionale, creata con lo Statuto di Roma del 1998 e operativa dal 2002, che si occupa di giudicare i crimini internazionali commessi dagli individui e non dagli Stati.