L’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza non si ferma e ha causato finora la morte di ben oltre 37.000 persone ed il ferimento di più di 85.000, secondo i dati del Ministero della Sanità locale gestito dal movimento islamista Hamas. Secondo un conteggio dell’Afp basato sugli ultimi dati israeliani disponibili, l’attacco di Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre avrebbe invece causato quasi 1.200 vittime in Israele.

Phlippe Lazzarini, commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), fa sapere che le ostilità continuano a Rafah e nel sud di Gaza bloccando gli aiuti umanitari, nonostante l’annuncio fatto domenica dall’Idf.

L’esercito sta continuando le sue operazioni “mirate e basate su informazioni dell’intelligence” a Rafah, nel sud di Gaza, secondo quanto riferito da Daniel Hagari, portavoce militare. “Sono state localizzate numerose armi e colpite una serie di strutture dotate di esplosivi che rappresentavano una minaccia per i soldati. Contemporaneamente nell’area di Tel Sultan, diversi terroristi che rappresentavano una minaccia per le truppe sono stati eliminati in combattimenti ravvicinati e dai droni”, ha riferito Hagari. Nella zona centrale di Gaza, invece, sarebbero stati sconfitti “terroristi armati in combattimenti ravvicinati e distrutte una serie di strutture militari che rappresentavano una minaccia per i soldati e usate da Hamas per scopi terroristici”, secondo la stessa fonte.

L’esercito israeliano in circa 40 giorni di combattimenti avrebbe smantellato quasi la metà della forza di Hamas a Rafah, uccidendo circa 550 uomini armati nell’area, oltre a quelli colpiti dai raid nei tunnel e negli edifici. Dei 4 Battaglioni della Brigata Rafah di Hamas, due – Yabna e Rafah est – sarebbero stati eliminati, mentre le capacità degli altri due – Shaboura e Tel Sultan – sarebbero state indebolite dalle operazioni in corso. L’Idf controlla, allo stato, l’intero confine tra Gaza e l’Egitto, il cosiddetto ‘corridoio Filadelfia’ ed ora sta insistendo nel sobborgo nord occidentale di Tel Sultan.

Attacchi al campo profughi di Nuseirat

Secondo quanto riferito da Al Jazeera, che cita fonti dei media locali tra cui Radio Hamas, nella notte tra lunedì e martedì, 17 persone sarebbero morte in due attacchi nel campo profughi di Nuseirat dopo pesanti bombardamenti israeliani nel centro di Gaza. Nel primo attacco avrebbero perso la vita 10 persone, tra cui donne e bambini, mentre i feriti sarebbero almeno 10. Un’ora dopo, è stata colpita l’abitazione di un’altra famiglia. Circa 35 persone rimaste ferite negli attacchi di questa notte si trovano ricoverate in ospedale in gravi condizioni.

Gli ostaggi

Risale a circa 10 giorni fa la liberazione di quattro ostaggi rapiti il 7 ottobre da Hamas ma ci sarebbero ancora decine di civili trattenuti vivi a Gaza: “Decine di ostaggi sono vivi con certezza”, ha riferito un esperto negoziatore israeliano interpellato dall’Afp, chiedendo di mantenere l’anonimato. “Non possiamo lasciarli lì per molto tempo o moriranno”, ha aggiunto il funzionario.

Intanto si discute sul documento redatto tre settimane prima del 7 ottobre 2023 dalla Direzione dei servizi segreti militari dell’Idf in cui si avvertiva che Hamas si addestrava per un’irruzione su larga scala ad Israele durante la quale sarebbero stati presi ostaggi in massa. È stata l’emittente pubblica Kan a darne notizia citando fonti delle forze di sicurezza. Il documento è stato portato all’attenzione di alti funzionari dell’intelligence della Divisione di Gaza ma il governo e i vertici militari hanno sostenuto di non essere stati avvertiti di un’imminente invasione programmata all’epoca, secondo the Times of Israel. La Divisione di Gaza si era preparata prima del 7 ottobre, secondo quanto riferito nel rapporto, all’irruzione di decine di terroristi che avrebbero violato il confine in tre punti, molti meno dei circa 3mila che sono poi entrati per l’assalto conclusosi con il rapimento di 251 ostaggi e l’uccisione di circa 1.200 persone, per lo più civili.

Il passo indietro di Gantz

L’uscita dal governo israeliano di Benny Gantz avrebbe indotto il Premier Nethanyau a sciogliere il gabinetto di Guerra. L’ex capo di stato maggiore delle forze armate israeliane avrebbe maturato la decisione di abbandonare il governo di emergenza costituito dopo l’attacco di Hamas già alcune settimane fa. Al 18 maggio risalirebbe il suo ultimatum a Netanyahu con il quale chiedeva che il gabinetto di guerra adottasse un “piano d’azione” in vista del dopoguerra nella Striscia di Gaza. Domenica 9 giugno le sue dimissioni sono state ufficializzate. Benny Gantz, considerato un moderato nel gabinetto di guerra israeliano, si sarebbe dimesso a causa delle divergenze con il primo ministro Benjamin Netanyahu sulla conduzione della guerra nella Striscia di Gaza. “Netanyahu ci sta impedendo di ottenere una vera vittoria. Lascio il governo di emergenza nazionale con il cuore pesante ma senza rimpianti”, così l’ex generale commentava in un discorso tv la sua scelta. Con un messaggio pubblicato sul social network X il primo ministro israeliano lo esortava: “Israele è impegnato in una guerra per la sopravvivenza su più fronti. Benny, non è il momento di abbandonare la nave, è più che mai il momento di unire le forze”.

All’annuncio delle dimissioni di Gantz il ministro di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha reagito chiedendo di far parte del gabinetto di guerra e Netanyahu, proprio per frenare le mire del ministro della Sicurezza nazionale, ha sciolto l’organismo centro di comando nella guerra ad Hamas e contro gli Hezbollah in Libano. La decisione del premier parrebbe essere scaturita proprio in seguito alle pressanti richieste di Ben Gvir, nonchè dell’altro esponente di destra radicale e ministro delle finanze Bezalel Smotrich. In assenza del Gabinetto di guerra l’ipotesi è che il premier ricorrerà a rinunioni a scopo di “consultazione” – che già hanno avuto luogo – con i ministri Yoav Gallant, Ron Dermer, entrambi ex componenti del Gabinetto di guerra, e con il capo dell’Assemblea nazionale Tzachi Hanegbi, uno dei suoi più stretti consiglieri. Il Gabinetto politico, di contro, continuerà ad occuparsi delle decisioni sulla guerra, comprese quelle sui negoziati per un possibile cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi, secondo la roadmap rilanciata dal presidente americano Joe Biden.

La situazione a Gaza ed il rilascio degli ostaggi resta il dossier principale di Israele, ma anche lo scontro con gli Hezbollah in Libano ha il tono della massima urgenza. Per questo motivo, al fine di impedire una escalation con il Libano, Amos Hochstein è stato inviato in Israele da Biden. Se non riuscisse a prevalere l’opzione diplomatica per il ritiro degli Hezbollah oltre il fiume Litani (in base alla Risoluzione 1701 dell’Onu) Israele ha già comunicato che non esiterà a puntare sulla guerra aperta.

Cosa vogliono gli israeliani

Da un sondaggio condotto dal Jewish People Policy Institute è emerso che la maggior parte degli israeliani, circa il 60%, respinge una rioccupazione della Striscia e preferisce un controllo civile palestinese nel dopo guerra, con Israele che mantenga la responsabilità della sicurezza. Gli israeliani intervistati preferiscono un accordo per gli ostaggi ed il cessate il fuoco secondo la road map rilanciata dal presidente Biden (che Hamas finora ha respinto). Il 10% vorrebbe che la Striscia venisse governata dall’Anp, l’Autorità Nazionale Palestinese, mentre oltre il 60% vorrebbe vederla gestita da entità palestinesi locali e stati arabi. In merito alla situazione al nord con il Libano: il 36% del campione chiede un attacco totale agli Hezbollah il prima possibile, il 26% auspica una guerra in Libano una volta terminata la lotta a Gaza mentre il 30% vorrebbe una soluzione politica.

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