La convention del Partito Democratico americano, celebratasi tra il 19 e il 22 agosto all’United Center di Chicago (Illinois), ha ufficialmente investito Kamala Harris del ruolo di candidata alla 47esima presidenza degli Stati Uniti d’America. Sarà l’attuale vice presidente a sfidare il prossimo 5 novembre l’ex inquilino della Casa Bianca Donald J. Trump (in carica dal 2017 al 2021), dopo il ritiro del presidente uscente Joe Biden, giudicato dal suo stesso partito – e dalla maggior parte degli americani – troppo vecchio per un secondo mandato visti i suoi 81 anni.

Nel frattempo, nelle ultime ore Trump ha incassato l’appoggio di Robert Kennedy Junior, il figlio di Bob Kennedy sinora in corsa da indipendente (e criticato fortemente dalla sua famiglia storicamente democratica). Le visioni della democratica Harris, 60enne, ex procuratrice e senatrice della California, e del repubblicano Trump, il tycoon che di anni ne ha 78, sono agli antipodi su molti punti, a partire dalla politica estera e dal dossier immigrazione, passando per le ricette economiche soprattutto per sostenere la classe media americana.

L’analisi di un professore

L’ascesa di Kamala Harris ha ribaltato i sondaggi che sino al 21 luglio, giorno dell’annuncio del ritiro di Joe Biden, davano stabilmente in testa Donald Trump. Da settimane molte rivelazioni fotografano invece un sorpasso della vicepresidente che, secondo i sondaggi più dolci per l’Asinello, sarebbe in vantaggio con il 49% circa dei sondaggi contro il 45% circa per Trump. Altri danno una forbice più ristretta, sempre in favore di Harris: il 46% circa contro 44% circa. Al voto mancano ancora due mesi e mezzo, un periodo piuttosto lungo.

Dopo la nomination di Harris abbiamo chiesto di disegnare un quadro dell’attuale situazione politica americana al professor Antonio Ruotolo, docente di Ingegneria Elettrica al College della Charleston/University of Charleston, in South Carolina, nonché fondatore del Dipartimento di Ingegneria Fisica alla Polytechnic University della Florida. Per Ruotolo, italiano originario di Napoli, che ora vive e lavora negli Usa, i giochi sono tutt’altro che chiusi.

Nonostante l’entusiasmo attorno a Kamala Harris, secondo il professore, Trump potrebbe ancora vincere. “Tutto può ancora succedere – afferma il docente – Il Paese resta profondamente fratturato e le elezioni sono ancora troppo lontane perché i sondaggi attuali abbiano un senso”. Questo perché, aggiunge, “nelle ultime settimane la disoccupazione ha avuto un’impennata improvvisa”. In effetti, nel giugno 2024, stando al report del Bureau of Labor Statistic, il tasso di disoccupati ha raggiunto il 4,1% rispetto al 4% di maggio. Nell’ultimo mese, inoltre – dati di pochissimi giorni fa – la richiesta di sussidi è aumentata di 4 mila unità, passando da 228 mila a 232 mila.

Le distanze in politica estera tra Harris e Trump

Terreno di scontro tra i due candidati, come detto, la politica estera. Il professor Ruotolo in proposito ricorda: “L’Ucraina ha portato la guerra sul territorio russo e il premier israeliano Netanyahu non ha alcuna vera intenzione di negoziare con Sinwar (l’attuale leader del gruppo palestinese Hamas, ndr.), la mente dietro il 7 ottobre”. Su questo il docente della Charleston/University of Charleston sembra non avere dubbi: “Trump batte Harris dieci a zero sulla politica estera’’.

Le visioni tra i due candidati sembrano antitetiche: Kamala Harris, sul solco di Biden e dei democratici, è orientata al rafforzamento del Patto Atlantico e del sostegno all’Ucraina “sino alla vittoria’’, mentre Donald Trump potrebbe spingere per un negoziato a ogni tra Zelensky e Putin, anche sacrificando pezzi di territorio ucraino occupato dalla Russia per prediligere il fronte interno in nome dell’”America First’’, da sempre slogan del 45esimo presidente Usa, e concentrandosi sul quadrante asiatico nella sfida commerciale ed economica della Cina.

Nonostante entrambi i candidati appoggino Israele, storico partner Usa, ci sono differenze anche sulla questione mediorientale. Kamala Harris, anche per il suo ruolo di vicepresidente dell’amministrazione di Joe Biden, chiede da tempo una sorta di moderazione nelle operazioni militari di Tel Aviv in risposta all’azione palestinese in nome anche del difficile negoziato in corso per un cessate il fuoco a Gaza (dove i morti sono oramai 40.000). A tal proposito va ricordato che nei giorni della convention di Chicago diversi attivisti pro Palestina hanno protestato all’esterno dell’United Center chiedendo (invano) di parlare mentre sono saliti sul palco i parenti di alcuni rapiti da Hamas il 7 ottobre.

Donald Trump, più affine politicamente a Benjamin Netanyahu, ha invitato di recente il premier israeliano “a chiudere presto la partita’’ per stabilizzare il fronte. Dettaglio forse dimenticato, la decisione assunta dall’amministrazione Trump di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme: un segno che i repubblicani rappresentanti del tycoon giudicano la città come corpo unico e capitale israeliana, dimenticando senza la divisione tra la parte occidentale a prevalenza ebraica e quella orientale a prevalenza palestinese con la comunità musulmana che considera Gerusalemme la città simbolo dell’Islam nell’area.

La classe media americana e gli Stati decisivi

Come in ogni elezione in tutti i Paesi, decisivi a novembre in Usa saranno le politiche di sostegno al cittadino comune. Come si orienterà l’elettore americano? Il professor Antonio Ruotolo afferma: “La classe media ha tendenze democratiche ma le elezioni sono determinate dalla classe operaia, che ha largamente sofferto un’inflazione che non si era vista da una generazione. È per questo motivo che sia Trump che Harris hanno scelto un candidato vice-presidente vicino proprio alla classe operaia’’. Da un lato il senatore dell’Ohio J.D Vance in ticket con Trump, dall’alto il governatore del Minnesota Tim Walz che ha accettato la nomination a vicepresidente democratico di un’eventuale amministrazione Harris. Ruotolo ribadisce come per le elezioni di novembre saranno “7 gli Stati ago della bilancia’’ ossia Michigan, North Carolina, Nevada, Arizona, Georgia, Winsconsin e Pennsylvania. La Harris appare ora in vantaggio in Pennsylvania, Michigan, Nevada, Arizona e Winsconsin.

I due profili

Utile, a questo punto, tracciare anche le differenze dei profili dei due candidati. Ed è ancora il professor Ruotolo a orientarci. “La Harris beneficia del colpo di scena dell’abbandono di Biden. È molto più giovane di Trump e ha un background multi-etnico, che aiuta a catturare il voto degli afro-americani (la Georgia è uno stato in bilico)”. Per Ruotolo, però, “la luna di miele con l’elettorato finirà. E finora la vicepresidente non ha proposto nessuna soluzione ai problemi. Eredita i problemi e le colpe di Biden: inflazione, immigrazione illegale e due guerre (Ucraina e Medio-Oriente) che non sembrano avere soluzione nel breve termine”. Di converso, Trump “è egocentrico e continua a commettere l’errore di insultare l’avversaria. Per quanto opinabili, propone soluzioni a problemi ma concentra la sua campagna elettorale sull’insulto dell’avversaria e sull’autocelebrazione. Ascolterà i suoi consiglieri e comincerà a proporre soluzioni? Difficile da dire. Trump ascolta solo Trump”.

Tuttavia, chiosa il docente di Ingegneria Elettrica al College della Charleston/University of Charleston, in South Carolina e fondatore del Dipartimento di Ingegneria Fisica alla Polytechnic University della Florida, “l’amore che Donald Trump ha per il Paese è reale. Potrebbe essere accusato di nazionalismo, ma sarebbe un’accusa di parte. Si conoscono le vicende degli affari che vedono in qualche modo coinvolta la famiglia Biden. E il patrimonio della Harris è quintuplicato in meno di 4 anni’’.

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