L’attesa – e temuta – risposta ai bombardamenti del 1° ottobre si è materializzata nella notte tra venerdì e sabato. Poco dopo l’1:30 (ora italiana) è iniziata la rappresaglia di Israele contro l’Iran in risposta al massiccio attacco con missili balistici di quasi 4 settimane fa. Annunciata da ormai diverse settimane, era nell’aria da tempo, ma è stata meno intensa di quanto si temeva.

Sembra che l’Iran sia stato preavvertito dell’avvio dell’attacco: secondo quanto riportato da Axios, venerdì Israele avrebbe inviato un messaggio all’Iran avvertendo Teheran di non rispondere. A trasmettere questa comunicazione sarebbero state diverse terze parti: “Gli israeliani hanno chiarito agli iraniani in anticipo cosa avrebbero e non avrebbero attaccato”, ha dichiarato una fonte all’agenzia. Axios ha specificato che il messaggio israeliano era un tentativo di prevenire un’escalation più ampia.

La popolazione iraniana è stata svegliata dai rumori delle deflagrazioni e non dalle sirene, che pare non abbiano suonato. L’attacco è durato poco più di tre ore ed ha colpito una ventina di obiettivi militari: la tv di stato iraniana ha riferito di esplosioni in diverse aree del paese, inclusa Teheran.

In tre diverse ondate Israele ha attaccato basi militari, sistemi di difesa aerea, impianti di produzione missilistica e lanciatori di missili nei distretti di Teheran, di Khuzestan e Ilam, secondo quanto riferito dai media israeliani. Nel corso dell’operazione i sistemi di difesa aerea in Siria e Iraq sono stati colpiti da raid israeliani per lasciare probabilmente libertà d’azione ai caccia diretti in Iran. Le forze di difesa aerea iraniane hanno fatto sapere che gli attacchi hanno provocato “danni limitati” e la morte di 4 soldati.

L’aeronautica israeliana ha condotto anche “un attacco preciso sui terroristi che stavano operando all’interno di un centro di comando e controllo che era incorporato in un complesso che in precedenza fungeva da scuola Salah al-Din a Gaza City”, secondo quanto descritto dall’Idf in un post su Telegram. “Il centro di comando e controllo è stato utilizzato dai terroristi di Hamas per pianificare ed eseguire attacchi terroristici contro le truppe dell’Idf e lo Stato di Israele”, dice l’Idf. “Prima dell’attacco, sono state adottate numerose misure per mitigare il rischio di coinvolgere civili”.

L’agenzia di stampa nazionale libanese Ani ha riferito, inoltre, di un raid Idf nella periferia meridionale di Beirut, roccaforte di Hezbollah. Poco prima, l’esercito israeliano aveva invitato i residenti di due quartieri della zona ad evacuare le proprie abitazioni, sostenendo che lì si trovavano “installazioni e siti affiliati a Hezbollah”. Il portavoce militare israeliano Daniel Hagari ha fatto sapere che “se il regime in Iran dovesse commettere l’errore di iniziare un nuovo ciclo di escalation, ci vedremo obbligati a rispondere. Il nostro messaggio è chiaro: tutti coloro che minacciano lo Stato di Israele e cercano di trascinare la regione in un’escalation più ampia pagheranno un prezzo elevato”.

Pur sottolineando di avere il diritto a una reazione, Teheran starebbe cercando di trovare un modo per evitare un’ulteriore escalation dopo l’attacco da parte di Israele. L’agenzia statunitense Associated Press (AP) ha riportato un comunicato diffuso dai militari iraniani secondo cui un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e in Libano sarebbe più importante di qualsiasi ritorsione contro Israele.

“Hezbollah condanna fermamente la traditrice aggressione sionista contro la Repubblica islamica dell’Iran e la considera una pericolosa escalation in tutta la regione”, ha affermato Hezbollah in una nota. Il movimento islamista libanese Hezbollah, sostenuto da Teheran, ha descritto gli attacchi israeliani contro l’Iran come una “pericolosa escalation” nella regione, attribuendo a Washington piena responsabilità dell’attacco lanciato dal suo alleato.

Le tappe più significative del conflitto

La storia del conflitto per procura tra Iran e Israele, combattuto per conto di Teheran dagli Hezbollah libanesi, dai palestinesi di Hamas e da altre forze, è lunga quarant’anni.
Una guerra combattuta sotto traccia che dal 7 ottobre 2023 ha iniziato una nuova fase alla luce del sole, della quale alcuni significativi avvenimenti ne fanno comprendere l’entità assunta fino ad oggi.

Dopo la strage compiuta da Hamas con l’uccisione di 1.200 civili ed il rapimento di 250 ostaggi nel territorio di Israele, il primo atto diretto di Tel Aviv sono stati i bombardamenti in Siria dello scorso 1 aprile. Un attacco aereo israeliano contro l’ambasciata iraniana a Damasco uccise tre comandanti e quattro ufficiali iraniani. Qualche giorno più tardi, il 19 aprile, venne lanciata la rappresaglia israeliana contro una base a Isfahan, nel centro del Paese. Seguirono azioni diplomatiche per cercare di disinnescare la crisi ma a luglio il capo politico diplomatico di Hamas, Isma’il Haniyeh, venne ucciso a Teheran.

A settembre l’esplosione dei cercapersone e l’uccisione di Nasrallah, due attacchi al principale alleato dell’Iran, Hezbollah, sono i due avvenimenti che infiammano l’escalation. Con Nasrallah venne ucciso anche Nilforoushan, vice comandante per le operazioni del Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica (pasdaran). Il 1 ottobre 2024 quasi 200 ordigni di Teheran contro Israele hanno vendicato le morti di Haniyeh, Nasrallah e Nilforoushan. L’Iran da quel momento si dichiara “in stato di guerra” ed inizia a crescere l’attesa per la vendetta di Israele giunta nella notte tra venerdì e sabato.

In questa fase risulta difficile avanzare ipotesi sul prosieguo del conflitto che da oltre 12 mesi infiamma il Medio Oriente. Di qualunque tipo siano stati i danni patiti dall’industria militare del regime sciita nell’ultima rappresaglia, appare oramai evidente che l’Iran sta subendo colpi sui fronti dove operano i suoi alleati Hamas ed Hezbollah. Tuttavia, secondo indiscrezioni filtrate nelle ultime ore, sembra che l’Iran non abbia intenzione di rispondere militarmente all’ultimo attacco, almeno al momento. C’è chi ipotizza addirittura una qualche tregua non dichiarata rispetto agli attacchi diretti fra i due Stati.

La guerra di strategie, in campo in Medio Oriente, è complicata anche sul versante politico e diplomatico per la presenza di altri attori rilevanti, come la Russia e Cina, che hanno accolto recentemente l’Iran nei Brics e non favorirebbero di certo il rafforzamento di un ordine mondiale sotto lo scudo americano. Molto dipenderà anche dall’esito del voto alle presidenziali in America. Se Joe Biden è riuscito fino ad ora a contenere l’escalation maggiormente temuta – pur non riuscendo a limitare i danni a Gaza ed in Libano, dove la situazione della popolazione civile appare sempre più drammatica – ci si interroga su cosa succederebbe con il ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Un nuovo appello Onu

Intanto, un nuovo allarme per la crisi umanitaria di Gaza arriva da Joyce Msuya, segretario generale aggiunto per gli affari umanitari e vice coordinatore degli aiuti di emergenza dell’Onu: “L’intera popolazione del nord di Gaza rischia di morire”, ha affermato. “Gli ospedali sono stati colpiti, gli operatori sanitari sono stati arrestati. I rifugi sono stati svuotati e incendiati”, ha scritto poi su X, sottolineando gli effetti dell’offensiva israeliana sull’assistenza sanitaria e sulla sicurezza dei civili, insieme alle sfide affrontate dai soccorritori, ai quali è “impedito di salvare le persone da sotto le macerie. Un così palese disprezzo per l’umanità basilare e le leggi deve cessare”, ha tuonato Msuya.


Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, in una lettera inviata al Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e alla presidenza del Consiglio di sicurezza, chiede la ferma condanna degli attacchi israeliani all’Iran. “Teheran si riserva il diritto di rispondere legalmente e legittimamente all’aggressione israeliana”, avverte. “Alla luce delle conseguenze dell’aggressione continua e sistematica del regime israeliano, l’Iran esorta l’Onu ad assumere una posizione ferma e a condannare il regime in modo forte e inequivocabile, dimostrando alla comunità internazionale che tali gravi violazioni non rimarranno senza risposta”.

I cortei per gli ostaggi

In vista del vertice previsto per quest’oggi in Qatar – il cui obiettivo è riavviare i negoziati per l’accordo sul cessate il fuoco – ieri sono state organizzate manifestazioni per il rilascio degli ostaggi a Tel Aviv. Il corteo principale ha sfilato in Piazza degli Ostaggi fuori dal museo di Tel Aviv, mentre una seconda protesta si è svolta di fronte al quartier generale del ministero della Difesa, in via Begin.

Lior Ashkenazi, portavoce della manifestazione, ha affermato al quotidiano israeliano Haaretz: “Haniyeh, Sinwar e Nasrallah sono morti, il corridoio Filadelfia è bloccato, Rafah è finita, Hamas indebolita, Dahiyeh (sobborgo a sud di Beirut a prevalenza sciita) è in fiamme ed abbiamo attaccato l’Iran. Che cos’altro potrebbe essere considerato una vittoria? Che cosa vi soddisferà? Che cosa vi convincerà che la gente del Paese è più importante delle voci messianiche all’interno del governo?”. Sempre ieri sera le famiglie degli ostaggi hanno indetto una conferenza stampa per chiedere la fine della guerra ed un mandato più ampio per la squadra di negoziatori inviata in Qatar.

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