La crisi in Medio Oriente non conosce rallentamenti. Da poco più di due mesi, dall’apertura di nuovi fronti militari, ovvero da quando il conflitto Hezbollah-Israele si è intensificato assumendo le forme dello scontro diretto, risulta ancora più difficile prevedere i tempi per la risoluzione dell’aspro scontro arabo-israeliano. Ad oggi, secondo il Ministero della Sanità libanese, i raid israeliani avrebbero ucciso più di 3.500 persone in Libano, e i combattimenti hanno causato circa 1,2 milioni di sfollati (un quarto della popolazione libanese). Da parte israeliana, circa 90 soldati e quasi 50 civili sarebbero invece stati uccisi durante i combattimenti e i bombardamenti nel nord di Israele.
I raid a Beirut e l’assassinio di un rabbino
I bombardamenti a Beirut di sabato ed il ritrovamento, ieri, del cadavere di un rabbino israelo-moldavo sono gli ultimi accadimenti del conflitto che ha intrappolato il Medio Oriente in un vortice devastante di morte e distruzione.
Nella notte tra venerdì e sabato il centro della capitale del Libano è stato colpito da raid aerei israeliani che all’alba del 23 novembre hanno preso di mira la periferia meridionale di Beirut. L’obiettivo era il comandante militare supremo di Hezbollah, Muhammad Haydar, secondo quanto riferito dal quotidiano saudita al Arabiya. Nessuna conferma, al momento, circa la morte di quest’ultimo. Prima dei raid, l’Idf ha emesso un avviso di evacuazione per i civili della zona e solo dopo ha avviato pesanti attacchi aerei nei sobborghi meridionali di Beirut, i quartieri di Hadath, Ghobeiry, Shiyah e Haret Hreik per colpire – secondo quanto dichiarato da Idf – centri di comando di Hezbollah.
La notizia del ritrovamento negli Emirati Arabi Uniti del corpo di Tzvi Kogan, il rabbino israelo-moldavo di cui si erano perse le tracce da giovedì scorso, ha scosso Israele. “Questo vile attacco antisemita ci ricorda l’inumanità dei nemici del popolo ebraico”, così su X il presidente israeliano, Isaac Herzog, che ha proseguito: “Non ci impedirà di continuare a far crescere la comunità fiorente negli Emirati Arabi Uniti o altrove”.
I mourn with sorrow and outrage the murder of Rabbi Zvi Kogan.
This vile antisemitic attack is a reminder of the inhumanity of the enemies of the Jewish people. It will not deter us from continuing to grow flourishing communities in the UAE or anywhere – especially with the help…
— יצחק הרצוג Isaac Herzog (@Isaac_Herzog) November 24, 2024
Anche il ministro israeliano della Difesa, Israel Katz, ha commentato duramente l’accaduto come un “crimine terroristico antisemita codardo e spregevole. Lo Stato di Israele non si fermerà né resterà in silenzio finché i responsabili di questo atto criminale non pagheranno per le loro azioni”, ha avvertito Katz. Lo Stato ebraico promette di usare ogni mezzo a propria disposizione per portare gli assassini davanti alla giustizia. Il servizio di intelligence israeliano, il Mossad, ha avviato un’indagine e con il Ministero degli Affari Esteri moldavo esige vengano “chiarite le circostanze del caso”.
Chi era il rabbino ucciso
Tzvi Kogan aveva 28 anni, doppia cittadinanza israeliana e moldava ed era sposato da circa sei mesi. Viveva ad Abu Dhabi dal 2020, da quando Israele ha normalizzato i legami con gli Emirati Arabi Uniti e lì gestiva un supermercato kosher. Era un emissario di Chabad Lubavitch, movimento chassidico ultra-ortodosso con l’ impegno di rafforzare l’identità ebraica ed avvicinare gli ebrei alla loro fede. Secondo quanto riferito da Channel 12 News era un parente del rabbino Gavriel Holtzberg, ucciso nel 2008 con la moglie in un attacco terroristico alla Nariman Chabad House di Mumbai. A seguito del ritrovamento del cadavere di Kogan, le autorità israeliane hanno esortato i connazionali ad evitare i viaggi non essenziali nel Paese del Golfo ed hanno consigliato ai cittadini già presenti di prendere ulteriori precauzioni.
L’Iran risponderà ad Israele
In un’intervista condotta mercoledì e pubblicata di recente dall’agenzia di stampa iraniana Tasnim, il consigliere anziano della Guida suprema iraniana Ali Khamenei, Ali Larijani, ha affermato che l’Iran sarebbe pronto a rispondere agli attacchi israeliani. “La risposta iraniana sarà volta a ripristinare la deterrenza”, ha precisato Larijani.
L’Iran avrebbe in programma, dunque, di rispondere agli attacchi israeliani ai suoi siti militari del 26 ottobre, seguiti al lancio da parte di Teheran di circa 200 missili balistici contro Israele il 1° ottobre. Durante l’intervista, Larijani avrebbe, inoltre, smentito le affermazioni israeliane secondo cui le scorte di armi di Hezbollah sarebbero state notevolmente ridotte durante le operazioni contro il gruppo. Lo riporta Times of Israel.
Le vittime a Gaza
Intanto, continua ad aggravarsi il conto delle vittime nella Striscia di Gaza secondo i dati diffusi oggi (domenica): 19 persone avrebbero perso la vita ed almeno 40 sarebbero rimaste ferite a causa di raid aerei notturni compiuti da Israele sulla Striscia di Gaza, secondo la protezione civile di Gaza, gestita da Hamas. Gli attacchi israeliani a Gaza tra venerdì e sabato avrebbero ucciso 120 persone e ferito 205, secondo il Ministero della Salute del territorio. Più di 44 mila sarebbero le vittime in totale dall’inizio del conflitto.
Gli ostaggi
Israele continua a rassicurare le famiglie degli ostaggi di fare tutto il possibile per riportare indietro quelli ancora nelle mani di Hamas ed offre 5 milioni di dollari a chiunque a Gaza consegni un ostaggio. Intanto, durante le proteste per la liberazione degli ostaggi, che ogni sabato sera si tengono a Tel Aviv ed a Gerusalemme, sabato 23 novembre è giunta la notizia dell’uccisione di una donna ritenuta ancora tra i prigionieri di Hamas. Sarebbe stata uccisa in una zona di combattimento nel nord di Gaza, secondo quanto dichiarato da Hamas, ma non si conoscono dettagli circa l’identità della vittima né su come e quando sia stata uccisa. L’esercito israeliano ha dichiarato all’AFP di avere avviato verifiche.
Poco più di una settimana fa, una delegazione di rapiti poi rilasciati dal gruppo terroristico ha incontrato il Papa accompagnati dall’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Yaron Sideman che ha dichiarato: “Francesco è stato molto gentile, ci ha promesso di pregare per loro. Farà tutto il possibile per farli ritornare a casa”.
Vicini a un accordo per il cessate il fuoco
Nella fase attuale, in cui alle diplomazie al lavoro per il cessate il fuoco viene richiesto di lavorare incessantemente affinché la tregua possa essere raggiunta, inizia una settimana fondamentale in Europa per le discussioni sulla situazione in Medio Oriente. Dal 25 al 27 novembre, a Roma, si terrà la principale conferenza sul Mediterraneo, Med dialogues, promossa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’ ISPI, l’Istituto Italiano per gli Studi di Politica Internazionale. La decima edizione di quest’anno è stata preparata sì da poter interagire con la riunione del G7 di Fiuggi che prevede una prima sessione di lavori dedicata proprio alla situazione in Medio-Oriente e nel Mar Rosso.
Nel frattempo, è notizia di ieri sera che alcuni funzionari israeliani si sarebbero sbilanciati sulla eventualità che un accordo per il cessate il fuoco potrebbe essere siglato entro la settimana appena iniziata. Durante la serata Benjamin Netanyahu avrebbe tenuto una consultazione sulla sicurezza riunendo i suoi ministri ed i rappresentanti della difesa a Gerusalemme per discutere della proposta americana che prevede, tra l’altro, il ritiro di Hezbollah nella zona a nord del fiume Litani, il rientro in patria delle forze Idf e l’insediamento di un comitato internazionale di vigilanza in Libano. Fonti del governo israeliano hanno detto alla tv pubblica israeliana Kan, che l’accordo per la tregua in Libano “è chiuso”. Secondo il quotidiano libanese l’Orient du Jour, la tregua sarebbe in ogni caso solo temporanea, in attesa di negoziati più ampi su un cessate il fuoco definitivo.