Mentre le trattative per un cessate il fuoco a Gaza sembrano questa volta avere buone possibilità di riuscita, c’è chi e non riesce a dimenticare la sofferenza per il devastante attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 in molti kibbutz d’Israele, che causò oltre 1000 morti. In risposta, l’Idf (l’esercito di difesa israeliano) avviò l’operazione militare nella Striscia di Gaza che in 13 mesi di guerra ha causato circa 45.000 morti, buona parte dei quali civili.

Tra i testimoni di quella devastante giornata c’è Ella Mor, che tiene vari incontri in giro per il mondo per ricordare cosa accadde oltre un anno fa. Omeopata a Jaffa, città situata nella cintura urbana di Tel Aviv, Ella è la zia di Amalia (10 anni) e Micheal (8 anni) testimoni dell’uccisione dei loro genitori nel kibbutz di Kfara. La loro sorellina di soli 4 anni, Abigail, rimase ferita dai colpi di arma da fuoco e fu sequestrata, rimanendo ostaggio di Hamas per circa 51 giorni nei tunnel sotterranei di Gaza, prima di essere rilasciata dopo un raro scambio di prigionieri.

Giunta a Napoli per un incontro nella sinagoga cittadina, Ella Mor si sforza, ancora una volta, di rievocare quei terribili momenti che sembrano riaffiorare ogni giorno. Il 7 ottobre 2023, afferma in premessa, “Israele è stato travolto da uno tsunami. Ci siamo ritrovati in un incubo, pur convinti di essere una Nazione al sicuro”. Non mancano critiche per la mancata prevenzione: “Sia il governo di Netanyahu che l’esercito israeliano hanno peccato di superbia credendo che l’attacco di Hamas, che ha mostrato tutta la sua ferocia, non sarebbe mai avvenuto. Ci sono grosse responsabilità. Come per l’Olocausto, occorreranno almeno due generazioni per rimarginare la ferita”.

L’incubo delle scene dei genitori ammazzati sotto i loro occhi sono stati e restano un macigno terribile per Amalia e Micheal. “Sarà difficile cancellare dalle loro menti la scena dei genitori massacrati a colpi di kalashnikov – non si fa illusioni Ella Mor – anche se il tempo sta lentamente lenendo le ferite. Speriamo che possano tornare a fare bei sogni presto’’. La speranza è anche alimentata nella vitalità di Abigail, che così piccina ha passato suo malgrado due mesi d’inferno nelle mani di Hamas. Sorprendentemente, dice sua zia, “è quella che sta recuperando meglio”.

Il pensiero della dottoressa Ella Mor, come per i suoi connazionali, va ancora una volta agli ostaggi tuttora nelle mani di Hamas. “Non lascerò sole le famiglie degli ostaggi, resterò al loro fianco altrimenti la mia vita non avrebbe senso. Chi si trova ancora oggi prigioniero a Gaza non ha nessuna colpa. Chiedere la loro liberazione non ha nulla di ideologico”.

Le trattative per il cessate il fuoco

Come detto, sono giorni frenetici per il raggiungimento a Gaza di un insperato cessate il fuoco, con Hamas che reputa possibile un accordo entro questa settimana. Veritiero? Si vedrà. Intanto va registrato quanto dichiarato da una fonte della stessa Hamas al giornale panarabo Asharq Al-Awsat: “La maggior parte dei casi sono stati chiusi. L’accordo è imminente”.

La formula di partenza per una soluzione è quella suggerita già lo scorso 31 maggio dall’amministrazione americana guidata dal presidente uscente Joe Biden. La prima parte dell’accordo prevederebbe uno stop alle ostilità di 60 giorni, quarantacinque dei quali sarebbero utilizzati per permettere il rilascio delle donne militari e dei civili ancora nelle mani di Hamas. In questo lasso di tempo l’Idf si impegnerebbe a lasciare i centri urbani e la parte costiera della Striscia di Gaza. Le truppe dello Stato ebraico dovrebbero invece conservare una presenza parziale negli assi di Netzarim e a Filadelfia, corridoio che consente l’ingresso a Rafah, in Egitto.

La seconda parte dell’accordo sarebbe incentrata sul rilascio dei rimanenti ostaggi – in tutto potrebbero essere circa 60 quelli ancora. L’ultima parte sarebbe riservata alla fine totale della guerra. Nell’accordo da siglare sarebbe inserito anche il rilascio di un certo numero di prigionieri palestinesi nelle carceri di Israele e il ritorno nel Nord della Striscia degli sfollati.

Sono due al momento i centri nevralgici delle trattative: Il Cairo, capitale egiziana dove sono arrivati i negoziatori palestinesi vicini ad Hamas e alla Jihad islamica (è arrivato in Egitto anche l’inviato dell’amministrazione americana in pectore di Donald Trump, Adam Boehler) sua alleata, e Doha in Qatar dove è atteso l’incontro tra il direttore della Cia William Burns e lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani con l’obiettivo di avvicinare ulteriormente le due parti per un accordo. Sono queste ore e giorni decisivi per un reale cessate il fuoco, tanto atteso ma già in passato svanito.

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