A Goma, capoluogo della provincia del Kivu Nord, in Congo, migliaia di persone sono in fuga a causa degli scontri feroci tra l’esercito congolese ed i gruppi armati M23. Ci sarebbero già almeno 100 morti e circa 1.000 feriti. La principale città dell’est del Paese è in gran parte nelle mani del gruppo armato antigovernativo e delle truppe ruandesi.

Secondo la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda sostiene l’M23. Il Ruanda ed il movimento accusano invece l’esercito congolese di collaborare con FDLR, gruppo fondato nel 2000 dai leader del genocidio del 1994 e da altri ruandesi in esilio per riconquistare il potere politico nel loro Paese.

Zone del conflitto

Secondo Paese africano per superficie, la Repubblica Democratica del Congo ha quasi la stessa superficie dell’Europa occidentale. Da oltre trent’anni violenze interessano la regione Kivu, che si trova sull’altopiano che percorre tutta l’Africa orientale e dove l’altitudine, le catene vulcaniche e gli immensi laghi della Rift Valley rendono il territorio fertilissimo e quindi ricchissimo di materie prime. Nel Nord Kivu si troverebbe circa l’80% delle riserve mondiali di coltan. Si comprende da questo che l’occupazione del suo capoluogo, Goma, garantisce, quindi, il controllo di uno dei territori più ricchi dell’Africa.

Il movimento 23 Marzo (M23), ultima metamorfosi dei vari gruppi armati (RCD-Goma, CNDP) occupando negli ultimi mesi porzioni sempre più estese di territorio nel Nord Kivu, ha preso possesso anche della miniera di Rubaya, il più grande giacimento al mondo di coltan, dove ha instaurato un’amministrazione parallela dedita allo sfruttamento ed all’esportazione diretta dell’”oro nero” verso il Rwanda. Al momento arginare l’avanzata dell’M23, movimento che vanta l’appoggio delle truppe regolari rwandesi e dietro il quale si celano altri sponsor occulti, sembra difficilissimo. Ribelli e truppe ruandesi hanno preso anche il controllo dell’aeroporto di Goma e nulla sembra in grado di arrestarli.

Le origini del conflitto

Si stima che, dopo le due guerre mondiali nel continente, ad oggi si tratti del conflitto con più vittime ma del quale meno si racconta. Il suo inizio si fa risalire solitamente al 1996, anno dello scoppio della prima guerra del Congo, la cosiddetta “prima guerra mondiale africana”, combattuta fino al 1997. La seconda “guerra mondiale africana” ha interessato, invece, gli anni dal 1997 al 2003, ed ha visto Congo e Rwanda scontrarsi coinvolgendo come alleati molti altri Paesi africani.

La regione dei Grandi Laghi (con Burundi, Ruanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo) ribollirebbe, in verità, già dagli anni ’70, in particolare nelle zone di Ruanda e Burundi. Nel 1972 il genocidio degli hutu prima in Burundi, poi quello in Rwanda, poi nel 1994 l’abbattimento dell’aereo su cui viaggiavano il presidente burundese Ntaryamira e quello rwandese Habyarimana, avrebbero, di fatto, avviato una delle più terribili carneficine del XX secolo: la caccia ai tutsi, agli hutu moderati nonché a tutti gli oppositori che nei mesi da aprile a luglio dello stesso anno causò quasi 1 milione di morti.

Allora nel nord Kivu si riversarono milioni di persone, e fra queste anche i genocidari. Per questo motivo vennero presi di mira i campi profughi e da allora una vera e propria “caccia” agli eredi dei genocidari (ormai oggi poche centinaia di uomini) rappresenterebbe il motivo ufficiale delle incursioni del Rwanda in territorio congolese. Dal 1998, nella zona orientale del Congo, il conflitto tra le milizie ribelli e l’esercito, nonostante la presenza della missione di pace delle Nazioni Unite, conosce fasi alterne, tra momenti di grande tensione – come quello attuale – e periodi nei quali le violenze rallentano.

Nell’anno 2000 le Nazioni Unite hanno istituito nella zona una missione di osservazione, la MONUC, divenuta nel 2010 MONUSCO: la più grande missione di peacekeeping dell’Onu istituita sino ad oggi. Da novembre 2021 l’attività armata del gruppo M23 è ripresa intensamente con attacchi lampo contro l’esercito congolese nel Nord Kivu e da allora è avanzata su più fronti, fino a raggiungere Goma, la capitale che ospita Ong internazionali, istituzioni Onu e che il gruppo aveva già occupato per dieci giorni nel 2012.

La preoccupazione internazionale

Le tensioni per la violenta escalation del conflitto hanno portato manifestanti ad attaccare a Kinshasa, capitale della Rdc, le ambasciate di Francia, Belgio, Uganda, Ruanda e Kenya.
L’Ue ha quindi richiamato “alla protezione dei diplomatici, secondo la Convenzione di Vienna”, condannando anche “la rinnovata offensiva dell’M23 sostenuto dalle forze armate ruandesi” in violazione del cessate il fuoco concordato.

Il presidente del Kenya e della Comunità dell’Africa orientale, William Ruto, ha invitato il suo omologo congolese, Félix Tshisekedi, ed il ruandese, Paul Kagame, “ad ascoltare l’appello di pace che viene dalla popolazione della nostra regione e dalla comunità internazionale”. La Croce Rossa ha lanciato un allarme sul rischio fuga di campioni del virus Ebola e di altri agenti patogeni conservati nella struttura dell’istituto nazionale di ricerca biomedica, che si trova proprio a Goma. Se le violenze raggiungessero il laboratorio ed i campioni dovessero diffondersi potrebbero esserci “conseguenze inimmaginabili”.

L’attenzione a quanto sta accadendo nella Rdc è grandissima da parte dell’Italia. I fatti di questi giorni riportano alla mente l’uccisione avvenuta il 22 febbraio 2021 dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio con il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e l’autista del convoglio Onu sui cui viaggiavano, Mustapha Milambo. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha avuto un colloquio con l’ambasciatore d’Italia a Kinshasa, ed è in costante contatto con i 15 connazionali rimasti nel Paese, si tratta di religiosi, cooperanti ed alcuni residenti.

Marco Rubio, vertice della diplomazia americana, ha chiesto un “cessate il fuoco immediato” nella Repubblica Democratica del Congo. Rivolgendo un appello a Paul Kagame, presidente ruandese, il nuovo segretario di Stato americano “ha esortato un cessate il fuoco immediato nella regione e che tutte le parti rispettino l’integrità territoriale sovrana” della Repubblica Democratica del Congo, si legge in una nota del Dipartimento di Stato.

Il Pam, programma alimentare mondiale, è stato costretto a sospendere gli aiuti alimentari nella città occupata, già colpita da carenza di cibo. La Commissione europea ha annunciato nuovi aiuti umanitari “per un valore iniziale” di 60 milioni di euro destinati al Congo nel 2025, ma senza pace nessun sostegno potrà risollevare una popolazione prostrata da anni di violenze con oltre 400 mila sfollati solo quest’anno, secondo recenti stime dell’Onu.
Save the Children ha avvertito che 200mila minori sarebbero a rischio segnalando casi di separazione tra minori e genitori e violenze contro donne e bambini.

Alla fine dell’udienza generale, oggi Papa Francesco ha lanciato un accorato appello per il Congo. “Esprimo preoccupazione per l’aggravarsi della situazione securitaria nella Repubblica Democratica del Congo. Esorto tutte le parti in conflitto ad impegnarsi per la cessazione delle ostilità e per la salvaguardia della popolazione civile di Goma e delle altre zone interessate dalle operazioni militari”, ha detto il Pontefice. “Seguo con apprensione anche quanto accade nella capitale Kinshasa, auspicando che cessi quanto prima ogni forma di violenza contro le persone e contro i loro beni. Mentre prego per il pronto ristabilimento della pace e della sicurezza, invito le autorità locali e la comunità internazionale al massimo impegno per risolvere con mezzi pacifici la situazione del conflitto”, ha esortato Papa Francesco.

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