Un periodo di forte repressione, anzitutto delle donne che pervicacemente continuano ancora oggi a chiedere maggiori libertà pagando spesso con la vita. E poi gli arresti degli oppositori politici, le violenze nelle strade ai danni dei dissidenti, le loro incarcerazioni ed esecuzioni spesso tramite impiccagione. Si ricorda soprattutto questo del triennio al potere di Ebrahim Raisi, il presidente dell’Iran morto il 19 maggio scorso a seguito di un incidente in elicottero nella regione dell’Azerbaijan orientale.
Raisi entrò in carica per la prima volta nell’agosto 2021, prima di essere confermato nel marzo 2024 con delle elezioni a dir poco discusse, che hanno lasciato perplessa parte della comunità internazionale sulla loro regolarità. A perdere la vita con Raisi anche il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, che viaggiava sullo stesso elicottero del presidente, e altre sei persone che si trovavano su altri velivoli.
Nessun rimpianto per la morte di Raisi
Tra chi non rimpiangerà Ebrahim Raisi c’è sicuramente Rozita Shoaei, presidente dell’associazione culturale Azadi con sede a Napoli che da tempo si batte per il rispetto dei diritti umani e di tutte le minoranze in Iran. “Per le donne vivere sotto il regime di Raisi è stato difficile, così come lo è stato in altri periodi quando a governare erano altri presidenti. E rischia di ripetersi ancora a lungo”, afferma senza mezzi termini Shoaei.
La presidente di Azadi individua la principale causa del suo pessimismo, pur continuando a sostenere la battaglia per l’emancipazione delle donne e per la libertà di tutti gli iraniani: l’ingerenza del clero, che da quando è nata la Repubblica Islamica a seguito della rivoluzione khomeinista del 1979 non dà tregua. “Sappiamo benissimo – dice Rozita – che tutti i presidenti in carica eseguono gli ordini provenienti dall’Ayatolah Ali Kamenei”. Kamenei è la guida suprema dell’Iran dal 1989.
“Ci sono dei periodi in cui, per motivi politici, si concedono alle donne più libertà e altre dove il controllo su di loro si fa più stringente con la scusa di rappresentare una minaccia all’integrità dello Stato islamico”, sottolinea Shoaei aggiungendo come con i presidenti Khatami o Rohuani qualche concessione fu fatta come “la possibilità di indietreggiare il velo di 4 centimetri sulla testa delle donne. Ma si tratta di cose di contorno, la sostanza non cambia proprio per la forte pressione della guida spirituale e dei religiosi. Per questo il popolo iraniano ha disertato le urne delle ultime elezioni che hanno confermato Raisi. È andato a votare solo il 40% degli aventi diritto, quasi la metà ha annullato il voto”.
Anche sulle esequie per il presidente Raisi ci sono difformità sull’effettiva partecipazione della popolazione. Qualche osservatore, infatti, ipotizza numeri gonfiati rispetto alla realtà. La morte nel settembre del 2022 della giovane Mahsa Amini, accusata di non aver indossato correttamente il velo e per questo arrestata dalla polizia morale, ha scatenato un’onda di proteste che si è espansa in tutto il Paese.
Ora i riflettori sulle richieste di maggiori tutele economiche e sociali del popolo e sulla violenta repressione del governo sembrano essersi spenti. “Ma la disobbedienza civile non si è fermata. Il popolo iraniano è come il fuoco che cova sotto la cenere, continuerà a lottare”, si dice sicura Rozita Shoaei. D’altronde, aggiunge, “le donne continuano a subire, ma hanno la solidarietà anche di quelle che il velo vogliono indossarlo ma che per la battaglia comune se lo tolgono. I pensionati, i professionisti, i docenti nemmeno loro non si sono fermati nella protesta”. Segno tangibile sono alcune reazioni alla stessa morte di Raisi: distribuzione di dolci nelle strade, usanza tipica iraniana nei periodi di gioia e spari di fuochi d’artificio.
La “pagella nera’’ di Raisi e i media di regime
La presidente di Azadi parla apertamente della “pagella nera” di Raisi durante tutta la sua carriera politica. “Si è fatto subito una cattiva fama, qualcuno l’ha definito il macellaio di Teheran – sottolinea Shoaei – per i massacri che ha ordinato. Ha fatto uccidere tante persone anche quando era giudice e procuratore”. Per tale motivo dice di essersi “indignata per il cordoglio espresso dalla comunità internazionale dopo la morte di Raisi, compreso quello del presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni che ha fatto addirittura le condoglianze al popolo iraniano. Questo mi ha lasciato sotto shock. Ma lei sa cosa è accaduto e sta accadendo in Iran alle donne e agli oppositori? Vorrei ricordare che nelle carceri iraniane le esecuzioni dei dissidenti si susseguono al ritmo di una ogni 5 ore”.
Dal canto suo l’Ong norvegese Ihr ha denunciato oltre 220 esecuzioni dall’inizio del 2024, una cinquantina solo nel mese di maggio. Il ricordo di Raisi della comunità internazionale – punge Rozita Shoaei – “dimostra come le parole di sostegno alla lotta per la libertà in Iran erano vuote. Fortunatamente qualche rappresentante politico si è dissociato coniando l’hashtag #notinmyname. Ma non basta. Bisogna prendere consapevolezza delle sofferenze del popolo iraniano, che Raisi ha contribuito ad alimentare”.
La presidente di Azadi conclude con una stoccata alla stampa: “I media di regime, poi continuano a silenziare la verità, come successo anche con l’incidente al presidente. Fortuna che ci sono tantissimi iraniani che con i propri cellulari, rischiando in prima persona, documentano quanto accade diventando essi stessi giornalisti”.