In carcere da quasi 49 anni perché ritenuto colpevole di aver ucciso due agenti dell’Fbi. Condannato alla fine di un processo da un tribunale americano sulla cui regolarità ancora oggi restano forti dubbi. Leonard Peltier, storico membro dell’American Indian Movement (Aim), dal 1977 sta scontando due ergastoli per la morte a colpi di arma da fuoco di Jack Coler e Ronald Williams, entrambi funzionari dell’Agenzia governativa federale americana.

Molti comitati e movimenti, negli Stati Uniti e non solo, continuano a ritenere che a carico di Peltier non ci siano mai state prove sufficienti della sua colpevolezza e che la sua permanenza in prigione – attualmente è detenuto in un carcere di massima sicurezza della Florida – sia frutto di una condanna politica in quanto attivista dell’Aim. In concomitanza con il suo ottantesimo compleanno (Leonard Peltier è nato il 12 settembre 1944), dinanzi all’Ambasciata Usa a Roma e ai Consolati americani di Milano, Firenze, Genova e Napoli sono stati organizzati in questi giorni dei sit-in con l’obiettivo di tenere viva la fiammella della speranza per la liberazione di Peltier, a cui ancora a giugno scorso è stata negata la libertà vigilata.

Il caso

A metà degli anni diversi attivisti dell’American Indian Movement avevano raggiunto la riserva indiana di Pine Ridge, nel Nord Dakota, a sostegno degli Oglala Lakota, tribù di nativi americani che si sentiva minacciata dalle autorità americane per le battaglie politiche portate avanti in un periodo fortemente turbolento. Il 26 giugno del 1975 due agenti dell’Fbi, Jack Coler e Ronald Williams raggiunsero Jumping Bull Ranch con l’intento di arrestare con l’accusa di furto un giovane sioux, Jimmy Eagle. Subito dopo l’irruzione ne nacque una sparatoria. A perdere la vita non furono solo Coler e Williams ma anche un attivista dell’Aim, Joe Stuntz. Le testimonianze di quel giorno non furono mai univoche e, si scoprirà poi, non è mai stato provato chi davvero sparò ai due agenti dell’Fbi.

Leonard Peltier, anch’egli presente il 26 giugno 1975 a Pine Ridge, venne accusato del duplice omicidio insieme ad altri due appartenenti all’American Indian Movement ossia Darrell Dean Butler e Robert Robideau. Questi ultimi due furono poi assolti al processo grazie alla tesi della legittima difesa dimostrata dai suoi avvocati. Diverso il destino di Peltier. Fuggito in Canada, venne arrestato dalla Royal Canadian Mounted Police ed estradato negli Stati Uniti finendo dietro le sbarre nel febbraio 1976. La condanna a due ergastoli per omicidio arrivò nell’aprile del 1977 secondo una sentenza di colpevolezza emessa dai giudici del tribunale di Fargo, nel Nord Dakota.

Attivisti per la protezione dei diritti umani e dei nativi sollevarono diverse incongruenze durante lo svolgimento delle udienze che portarono alla condanna. Tra i dubbi sollevati: una giuria formata da soli bianchi in una città fortemente conservatrice, alcuni cambi di versione nella descrizione dei fatti da parte degli agenti dell’Fbi presenti in quel momento e le risultanze delle perizie balistiche che, 5 anni dopo, avrebbero dimostrato come i proiettili che colpirono Williams e Coler non fossero in realtà partiti dall’arma di Peltier. Nonostante ciò, la condanna non ha mai subìto variazioni, né gli avvocati sono mai riusciti a chiedere la revisione del processo. Peltier, oramai ottantenne e con diversi acciacchi fisici, rischia seriamente di terminare in carcere la sua vita.

Il sostegno

Peltier “non deve morire in prigione – il monito lanciato qualche giorno fa da Justin Mazzola, ricercatore di Amnesty International Usa – Nei mesi da qui alla fine del suo mandato, il presidente Biden ha l’opportunità di scarcerarlo e di consentirgli di trascorrere i suoi ultimi anni con la sua famiglia e con la sua comunità. Questo sarebbe un primo passo per ristabilire le compromesse relazioni tra i nativi americani e il governo federale e farebbe parte dell’eredità positiva lasciata dal presidente”. Dopo l’ultima udienza che ha respinto la richiesta di libertà vigilata di giugno, anche Paul O’Brien, direttore generale di Amnesty International Usa, aveva chiesto al Capo della Casa Bianca di “concedergli la grazia e scarcerarlo immediatamente: ci sono dubbi ancora irrisolti sull’equità del processo, ha trascorso quasi 50 anni in carcere, sta raggiungendo gli 80 anni di età e soffre di diversi problemi di salute, gravi e cronici”.

A Roma si è tenuta ieri 12 settembre un presidio di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti d’America per sostenere la richiesta di un atto di clemenza in favore di Peltier. A Napoli oggi, oltre al presidio davanti al Consolato Usa di piazza della Repubblica all’Asilo Filangieri di Vico Maffei 4 (nel centro storico di Napoli nei pressi di via San Gregorio Armeno) verrà proiettato il documentario del 2024 “Mitakuye Oyasin, Tutto è Connesso” di Andrea Galafassi introdotto da Andrea De Lotto, maestro elementare e attivista che dal 2013 segue la vicenda di Leonard Peltier. L’evento è organizzato in collaborazione con tra l’Asilo, il comitato Freed Assange Napoli e il Festival del Cinema dei Diritti Umani.

“La vicenda di Leonard Peltier – nativo americano e membro dell’American Indian Movement (AIM), ingiustamente detenuto da 50 anni – è di tragica attualità oggi più che mai: la sua persecuzione è il risultato del colonialismo occidentale che ha sterminato migliaia di nativi in centro America come oggi il colonialismo israeliano miete migliaia di vittime nei territori occupati della Cisgiordania”. A dichiararlo è Nicola Angrisano, del comitato Free Assange Napoli.

A intervenire anche Maurizio Del Bufalo, presidente dell’associazione “Cinema e Diritti” e fondatore, coordinatore e promotore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli. “Noi del Festival del Cinema dei diritti umani abbiamo subito aderito all’iniziativa – le sue parole – Il caso in questione non è famoso come quello di Julian Assange, solo di recente tornato libero dopo decenni di reclusione, ma appare ancora più grave e paradossale. La vicenda di Peliter si è sviluppata in un momento particolare degli Usa, quando le contestazioni finivano per sfociare in violenze’’. Secondo Del Bufalo, Peltier ha assunto il ruolo di “capro espiatorio”. Lui “non ha commesso i due omicidi di cui è accusato”. I “giudici si sono poi lasciati andare in dichiarazioni in cui facevano intendere di aver subìto pressioni per condannare Leonard. Tutto ciò dimostra come le minoranze, in tutto il mondo, continuino a essere cancellate. Di esempi ce ne sono diversi: dai nativi Sudamericani alle minoranze etniche in Asia, in Africa. Negli Stati Uniti i nativi sono stati sterminati subendo tantissime violenze’’ conclude Del Bufalo.

A condividere la battaglia per la liberazione di Leonard Peltier anche Alex Zanotelli, padre comboniano ora stabilmente a Napoli che sarà domani fuori al Consolato Usa del capoluogo partenopeo. “Leonard è il simbolo delle minoranze perseguitate, da quelle del Sahara Occidentale (di cui non parla nessuno) sino al popolo della Palestina a Gaza e in Cisgiordania. Peltier ha combattuto tutta la sua vita per i diritti dei nativi americani. Badate bene: nativi, non indiani. Noi li chiamiamo così perché Cristoforo Colombo credeva di aver scoperto l’India’’. Zanotelli si sintonizza sulla stessa lunghezza d’onda di chi grida l’innocenza di Paltier. “Non ha commesso lui il duplice omicidio, ci sono prove e tesi che smontano le accuse. È in carcere da quasi cinquant’anni da innocente, chiediamo che possa passare a casa almeno l’ultimo scorcio della sua vita con i suoi familiari e i suoi amici’’.

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