Il suicidio di Leonardo Calcina, il ragazzo di 15 anni che si è sparato domenica scorsa all’interno di un casolare di Montignano di Senigallia con la pistola d’ordinanza del papà vigile urbano perché stanco degli atti di bullismo che aveva denunciato di aver subìto, riapre di nuovo il dibattito sulla fragilità degli adolescenti e su come affrontarli. Viktorya Ramanenca, la mamma del ragazzo, ha detto ai giornalisti che Leonardo si sarebbe confidato con dei docenti dell’Istituto di istruzione superiore Alfredo Panzini che il 15enne frequentava, senza però aver avuto la sensazione di essere realmente capito. Al funerale dell’adolescente, mamma Viktoria ha anche allontanato il preside della scuola avvicinatosi per dare le sue condoglianze facendo intendere come la dirigenza e il corpo docenti dell’istituto (che Leonardo voleva cambiare) potrebbe avere una parte di responsabilità nella tragedia.

Cosa dice l’esperta

Maria Cimmino, psicologa-psicoterapeuta cognitivo-comportamentale esperta in età evolutiva, non sembra condividere il giudizio della mamma di Leonardo. “Arrivare a un suicidio non è una cosa così semplice. È vero che i ragazzi adolescenti sono fragili e possono agire più facilmente, ma è altrettanto vero che esistono degli indicatori che possono far comprendere il disagio”. Quali sono? La dottoressa Cimmino ne elenca alcuni. “Guardare nel vuoto mentre si è a tavola, la tendenza a dormire di più, essere meno presenti dal punto di vista affettivo”.

Possibile che i genitori di Leonardo, divorato dalla sofferenza per gli atti di bullismo sopportati, non avessero capito nulla? Forse lo si capirà più avanti nelle indagini. Un fatto è certo: il ragazzo si era confidato con il padre e la madre pochi giorni prima dell’insano gesto. Lo sfogo, però, non ha cambiato il corso di un destino crudele. “Suicidarsi è un atto che si compie quando si ha la percezione di non avere più via d’uscita. Prima di arrivare a ciò si tende a instaurare un dialogo con la vittima”, sottolinea la psicologa, per poi aggiungere: “Il problema è che”, in certi casi, “i genitori non vedono, non vogliono vedere e hanno paura di vedere la verità. Pensare che il preside, la scuola abbiano delle responsabilità”, per quanto successo a Leonardo, “è la strategia più adattativa che un genitore può trovare. Se il ragazzo subiva da tempo atti di bullismo, a prendere degli accorgimenti sarebbero dovuti essere prima di tutto i genitori. La psicopatologia è sottile: la scuola ha la sua fetta di responsabilità, certo, ma la mamma di Leonardo avrà trovato un suo delirio sulla scuola e un suo focus per dirigere il dolore”.

In relazione a ciò la dottoressa Cimmino ricorda: “A me è capitato di aver ‘tirato per i capelli’ ragazzi che avevano pensieri di morte, mentre i genitori pensavano se i loro figli sarebbero o no andati all’università. Poi quando ci scappa il morto e il problema è la scuola o lo psicologico che non hanno segnalato? Da psicologa farei tante di quelle domande, pensare che la scuola sia stata omertosa o non abbia fatto il giusto intervento non mi sembra corretto. Non è facile controllare tutto quello che succede nei corridoi o all’uscita della scuola” visto che “i casi si verificano principalmente nel cortile, al bar, attraverso i cellulari”. Dunque una domanda:“È mai possibile che i genitori del ragazzo non hanno mai visto il cellulare? Perché se l’hai visto, chiami la preside e fai sospendere i ragazzi che hanno compiuto atti di bullismo. Cosa ci guadagna un professore a fare finta di niente? Mi sembra un delirio”.

La psicologa rafforza ancor di più il concetto per confutare certe tesi emerse nel caso di Leonardo (ma non solo). “Normalmente non è che dei ragazzi che soffrono prendono la pistola e si sparano. Non è per bullismo che ti uccidi, c’è ben altro”. Cosa, allora? Per la psicologa e psicoterapeuta, “c’è un sentimento di rifiuto, di non amabilità, di inadeguatezza, di incapacità che ha origini nel rapporto dei ragazzi con i genitori“.

I pericoli

Nelle sue varie articolazioni, la violenza giovanile appare spesso senza un freno oltre che in notevole aumento. Perché avviene? È sempre la psicologa e psicoterapeuta Maria Cimmino a fornirci degli strumenti utili per capirne le motivazioni. Innanzitutto, “il grande utilizzo del cellulare determina uno stato proprio di grande appiattimento emotivo. Questo accade già in precoce età”. Nella psicopatologia dell’età evolutiva, spiega la psicologa e psicoterapeuta, “gran parte dei bambini già in piccole età presentano piccoli sintomi di iperattività, che sotto soglia o sopra soglia viene diagnosticata nelle giovani generazioni. In età adulta, intorno ai 16 anni, questi sintomi possono trasformarsi in disturbo antisociale”.

E anche qui si richiama alla grande responsabilità in famiglia. “Quando un bambino di 2 o 3 anni non tollera le frustrazioni, è perché i genitori non sanno dare limiti né contenimento. Ad 8 anni ci sono già i primi disturbi oppositivi provocatori a scuola e infatti le insegnanti lo sanno bene”. Poi, spiega Cimmino, “a 12-13 anni si manifestano i primi atteggiamenti di sadismo e in classe si crea una divaricazione in cui c’è il bullo e quello che per caratteristiche temperamentali è un po’ più inibito e chiuso”. Non è tutto. “A 18 anni, molti ragazzi vanno a fare sport fisici per autodifesa e in qualunque manifestazione giornaliera, scolastica o ludica desiderano mettere in pratica ciò che hanno imparato per dimostrare chi è più forte e meno forte”.

Un quadro che appare preoccupante, anzi, per usare le parole della psicoterapeuta, “la prognosi è gravissima”. Negli ultimi “10 anni la psicopatologia dell’età evolutiva ha avuto un cambiamento pazzesco – lancia l’allarme Cimmino – Non c’è il contenimento, da intendersi anche come capacità di dire a un figlio no. Se tu sei in pizzeria e vedi che tuo figlio brontola, è più facile che tu genitore gli dai il cellulare ed è più facile che un genitore se sta con il figlio 14enne al centro commerciale gli compri un I-Phone. È più facile dare, che saper dire di no”. E, ancora una volta, insiste la Cimmino, si rivela “l’assenza di argini e di disciplina delle figure genitoriali”, unite alla “scarsa normativa e allo scarso rigore nelle istituzioni crea degli antisociali”. I ragazzi “di 16 anni oggi non hanno empatia, sono sottoposti a serie Tv, a siti porno (soprattutto i maschi), sono appiattiti perché gli stimoli così intensi e crudi in piccola età vanno proprio a modificare la corteccia pre frontale”, ovvero l’area del cervello deputata all’empatia. “Non ci sono più limiti e se non ci sono limiti in tenera età, tu in età adulta quando picchi una persona non ce l’hai il limite e ti fermi soltanto quando chi viene picchiato non respira più. Il discontrollo degli impulsi – conclude Cimmino – significa anche questo: quando ti parte l’impulso, tu non riesci a frenarlo e ti freni quando il delitto lo hai già commesso”.

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