L’episodio più eclatante forse è stato il dirottamento a maggio di un aereo a Minsk per arrestare un giornalista dissidente, ma è da un anno che in Bielorussa chi la pensa diversamente dal suo presidente Alexander Lukashenko non vive serenamente, rischia l’arresto e spesso è costretto a scappare. In carica dal 1994 – in un Paese che è una repubblica presidenziale – Lukashenko l’anno scorso è stato rieletto per il suo sesto mandato consecutivo e in Bielorussia sono esplose le rivolte popolari.
I manifestanti avevano iniziato a protestare da maggio. Accusavano di corruzione e di una cattiva gestione della pandemia di coronavirus il governo. E con il plebiscito di voti ottenuto da Lukashenko alle urne (l’80% dei consensi) le tensioni si sono acuite. Dopo le elezioni, nelle piazze e nelle strade delle città esplose una vera e propria guerriglia urbana. Gli oppositori denunciavano Lukashenko di brogli elettorali e chiedevano le sue dimissioni. Da allora è iniziata la dura repressione dei dissidenti.
Arresti, morti sospette, azioni volte a zittire chiunque critichi il governo. L’ultimo caso che ha allungato nuove ombre su Lukashenko è di oggi. A Kiev è stato trovato morto un attivista, Vitaly Shishov, che in Ucraina era a capo di una organizzazione no-profit che offre rifugio a chi fugge dalla Bielorussia a causa della repressione. Non era più tornato da una corsa e il suo corpo è stato ritrovato impiccato in un parco di Kiev. La polizia ha aperto un’inchiesta per omicidio.
Pochi giorni fa, a Tokyo, un’atleta bielorussa ha dovuto lasciare le Olimpiadi: la 24enne Kristina Timanovskaja, alla vigilia della gara dei 200 metri femminili, stava per essere imbarcata con la forza su un aereo dai funzionari del comitato olimpico bielorusso per delle critiche rivolte allo staff. “Come al solito, la nostra meravigliosa leadership decide per noi. Queste sono le Olimpiadi, non uno scherzo”, aveva detto sui social. Dopo poche ore è stata prelevata e condotta in aeroporto per essere rispedita in Bielorussia, ma la polizia giapponese è arrivata in tempo per non farla salire su quel volo. Timanovskaja ha chiesto asilo politico presso l’ambasciata polacca di Tokyo e ieri ha ottenuto dalla Polonia un visto per motivi umanitari.
A dicembre scorso le Nazioni Unite hanno denunciato il “continuo deterioramento” dei diritti umani in Bielorussia. “È urgente che il governo della Bielorussia ponga fine alle continue violazioni dei diritti umani”, aveva affermato l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, chiedendo alle autorità bielorusse di fare chiarezza sulle accuse di tortura e le altre violazioni dei diritti umani, compresa la morte di almeno quattro persone durante le proteste.
Dalle ultime elezioni presidenziali, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite, più di 27mila persone sono state arrestate. Bachelet aveva espresso preoccupazione per la violenza non necessaria e sproporzionata usata dalle forze di sicurezza contro i manifestanti, in maggioranza pacifici. “Abbiamo anche rapporti di persone picchiate da membri delle forze di sicurezza durante e dopo il loro trasporto alle stazioni di polizia o ai centri di detenzione. Se confermati, tali incidenti costituirebbero maltrattamenti e, in alcuni casi, potrebbero equivalere a tortura”, aveva rivelato l’Alto commissario.
Per la repressione attuata nei confronti dei dissidenti e per i presunti brogli elettorali, l’Unione Europea ha sanzionato dei funzionari bielorussi vicini a LukashenKo, inizialmente 44, poi 88. Tali provvedimenti hanno peggiorato i rapporti con la Bielorussia, che ora, secondo l’Unione Europea, starebbe usando il fenomeno migratorio per vendicarsi. Ogni giorno sono centinaia i migranti che giungono in Lituania dalla Bielorussia (che non fa parte dell’Ue). Solo a luglio ne sono arrivati 2700, contro i 70 che prima si registravano all’anno. Provengono principalmente dall’Iraq, ma anche da altri Paesi asiatici e dall’Africa. Per fermare gli ingressi la Lituania ha deciso di innalzare un muro di filo spinato lungo il confine con la Bielorussia.
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