Leggo oggi sul Corriere della Sera la notizia dell’ennesima azienda che cerca personale e non ne trova. Quante sono le imprese che hanno denunciato le stesse difficoltà negli ultimi anni mentre la pandemia bloccava le assunzioni e toglieva il lavoro a chi ce l’aveva? Aumenta la povertà, i disoccupati e gli inattivi sono milioni e non si vede nessuna soluzione diretta a far incontrare domanda e offerta nel mondo del lavoro.
A Napoli non ho mai visto tanti annunci di lavoro sulle vetrine dei negozi. Sono decine quelli affissi solo nel centro cittadino, lungo le principali vie dello shopping. Nonostante la forte richiesta, una negoziante mi dice: “Hai 38 anni, noi inseriamo con stage”. Ho lasciato il mio curriculum in tutti i negozi che stanno cercando personale, li ho consegnati personalmente percorrendo minimo 10 chilometri al giorno a piedi e non ho ricevuto nemmeno una telefonata.
Ho una laurea specialistica, esperienze lavorative in banca, alla cassa, lavoro da 8 anni come giornalista, parlo fluentemente il francese, me la cavo con l’inglese, ho avviato la mia piccola attività imprenditoriale, ma come commessa non vado bene. Eppure ho bisogno di un lavoro e i negozi hanno bisogno di commesse. Se chi governa questo Paese intervenisse, in qualche modo si potrebbe trovare una soluzione, magari incentivando con detrazioni fiscali chi assume con contratti diversi da stage e apprendistato o rendendo più flessibili i rapporti di lavoro.
Il mio problema, mi hanno detto, è l’età. Eppure ho 38 anni. Quei 50enni finiti per strada a causa della pandemia come faranno? Io non ho figli. Chi ha figli come li mantiene? Io ho una famiglia che mi ha riaperto casa. Chi non ha una famiglia come può garantirsi un posto dove dormire? Fino ad oggi è stata avviata una seria discussione della politica su tali questioni? Io appartengo a quella generazione che si è trovata a entrare nel mondo del lavoro con la crisi del 2008 ed è finita senza lavoro (precario) con la pandemia. Ho fondato un giornale quando si è bloccata la collaborazione professionale che andava avanti senza problemi prima del Covid19. Ma senza un lavoro cosa posso ancora investire in un giornale che nessuna banca finanzierebbe senza garanzie, senza patrimonio, senza niente? Per fare informazione ci vogliono soldi. Vogliamo giornali indipendenti, però non si fa nulla per incentivarli. Per la libertà d’informazione c’è bisogno di soldi: per produrre contenuti, per entrare nelle notizie, per documentare, per muoversi, per posizionarsi sul web, per pagare tasse e contributi, per stampare.
Ci dicono che dobbiamo produrre, ma come si può produrre se la politica è ancora distratta da giochi di potere mentre il mondo va a rotoli con i ricchi che diventano sempre più ricchi e i poveri che aumentano? Ho una laurea specialistica in Finanza e 14 anni di esperienza lavorativa alle spalle, ma non vado bene per nessuno: non vado bene in banca, non vado bene come impiegata, non vado bene come commessa, non vado bene come giornalista. Passo le giornate a inviare curriculum, non ho mai smesso di studiare, ma non vado bene.
A un certo punto diventa normale chiedersi: cosa ho che non va? È mai possibile che con le competenze fino ad oggi acquisite non sono adeguata nemmeno a servire dolci al bancone di un bar? Quanti, come me, continuano a ripeterselo? Finendo talvolta in un vortice da cui non riescono più a risalire. A voi vorrei lanciare un messaggio: non siamo noi il problema, è il mondo lì fuori che non funziona bene e se gli altri non se ne sono accorti noi glielo dobbiamo dire, perché se non ci facciamo sentire, chi ha il potere di cambiare le cose continuerà ad essere concentrato su faccende personali mentre le strade continuano a riempirsi di senzatetto, le aziende non trovano personale e noi, noi non sappiamo come andare avanti. Ho usato la mia storia personale, ma so per certo che non è solo la mia storia. È la storia di tutti coloro che lì fuori si stanno aggrappando al futuro con le unghie e con i denti. Non tutti riescono a resistere, qualcuno si arrende sotto il peso di responsabilità da affrontare nelle incertezze o senza più nulla, qualcuno emigra, qualcuno resta per continuare a provarci. Cari politici, cominciate a fare il vostro lavoro. Perché noi vogliamo fare il nostro.
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