Mettere a disposizione la propria arte per far felice i meno fortunati. Con un semplice taglio di capelli restare vicini alle sofferenze di chi vive per strada, persone a cui non è rimasto più nulla. Un gesto semplice ma significativo, che annulla le distanze tra coloro che ogni giorno riescono a vivere e sorridere e quelli che sperano di tornare a farlo. La bella novella arriva da Napoli e ha per protagonista C1r0 Dios – uno pseudonimo che serve a mantenere la riservatezza rispetto alla sua opera – barbiere del territorio, peraltro noto nell’ambiente.
C1r0 Dios, una o due volte a settimana, nei momenti liberi, quando il suo lavoro non lo impegna, di mattina presto o di sera, gira per il capoluogo campano e nei dintorni con i propri strumenti di lavoro chiedendo ai clochard e senza fissa dimora se desiderano una sforbiciata. Le persone a cui si rivolge, italiane e straniere, risultano spesso rovinate dalle dipendenze da droga e alcool, non trovano un approdo lavorativo, non hanno più affetti, sono costrette a ripararsi tra i porticati delle chiese, compresa quella del Duomo di Napoli, nelle gallerie, in ogni posto dove il freddo pungente del periodo non esiga un tributo di salute.
Il personaggio
C1r0 Dios è oramai una star dei social per questa sua opera di altruismo. Ma si badi bene: la notorietà non ha nulla a che vedere con la pubblicità. Il barbiere infatti indossa sempre una bandana, un cappuccio e uno scaldacollo che gli copre il viso mentre taglia i capelli ai clochard o parla con i giornalisti. È un modo per mantenere l’anonimato, eliminando ogni equivoco su una presunta volontà di acquisire consenso. C1r0 va in giro per raggiungere i clochard indossando una maglietta del Napoli con il nome di Diego Armando Maradona, l’eroe del calcio per gli azzurri, con lo stemma dello scudetto e della Coppa Italia vinti dal Napoli nella stagione di grazia 1986/87. “Diego ha rappresentato per noi un simbolo di riscatto, siamo qui per conquistare ciò che vogliamo nella vita”, spiega il barbiere nel nostro colloquio. Anche quando bisogna mettersi in contatto con lui telefonicamente, richiama sempre con un numero anonimo. L’alternativa è scambiare sul suo profilo Instagram qualche messaggio o delle note vocali. Non solo. Prima di rilasciare interviste video, C1r0 Dios chiede che sia rimodulata la sua voce. sempre per non risalire a lui. Ovviamente, sapere come si chiami o dove eserciti la sua professione è impossibile.
La testimonianza
“Ogni volta che usciamo, è un’emozione diversa e ci portiamo sempre delle bellissime sensazioni, un mare di cose belle. Queste persone meno fortunate trasmettono a me l’amore che non hanno, che hanno perso o vorrebbero riavere”, confida C1r0 9, ricordando del perché ha deciso di tuffarsi in quest’avventura intrisa di disponibilità verso il prossimo. “Mi sono avvicinato a queste realtà grazie a un mio amico che consegna i pasti a senzatetto da 10 anni. Ho deciso perciò di prendermi cura dei loro capelli perché attraverso la mia passione, che è anche il mio lavoro, do loro un tipo d’aiuto mai avuto prima”. Ciò che deve arrivare all’esterno, è chiaro negli intendimenti di C1r0. “Il messaggio – afferma – è questo: far del bene, senza pretendere nulla in cambio e rendersi utili per i meno fortunati. Chiunque possa rendersi partecipe a queste iniziative, che ben venga”. Il feedback che anche lui riceve è notevole. “Ogni volta che usciamo, è un’emozione diversa e ci portiamo sempre delle bellissime sensazioni, un mare di cose belle. Queste persone meno fortunate trasmettono a me l’amore che non hanno, che hanno perso o vorrebbero riavere”. L’essere apprezzati sui social per il taglio dei capelli ai clochard, non è di per sé imbarazzante. “Sono contento che questa mia azione sia conosciuta sui social e sui media, non mi spaventa anzi mi rende felicissimo sapendo che non devo promuovere la mia attività. Spero che quanto prima ci possano essere tanti C1r0 in giro per il mondo a rendersi utili per le persone che ne hanno bisogno”.
Il clochard a Napoli
La gestione delle esigenze dei clochard e senza fissa dimora in Italia non è affatto semplice. E Napoli, città complicata, non fa certo eccezione. Luca Trapanese, assessore alle Politiche Sociali della giunta comunale di Napoli guidata dall’ex ministro Gaetano Manfredi, ricorda: “A Napoli ci sono 2000 clochard, ma prepariamoci a un incremento di questo numero. La povertà sta aumentando e per il clima della nostra città arrivano qui persone per strada provenienti dalla Calabria, dalla Puglia, dall’Abruzzo”. Che fare per occuparsi in modo davvero compiuto e risolutivo del fenomeno, visibile in molte strade del centro storico di Napoli e nell’hinterland? Risponde sempre Luca Trapanese, divenuto famoso perché da single e omosessuale ha adottato Alba, bambina con sindrome di down, aprendo una forte riflessione sul tema dell’adozione con protagonisti anche chi non è parte di un nucleo familiare proprio. “Sottoscriveremo un protocollo d’intesa con Asl e Diocesi con i quali c’è una buona sintonia. Vanno capite quali sono le responsabilità – riflette Trapanese – Molte persone che sono per strada molto spesso hanno delle dipendenze, problemi mentali e non c’è coordinamento tra le associazioni di volontariato che porta a uno spreco di energia, di pasti. Questo invoglia la gente a stare per strada e non essere prese in carico dai servizi sociali e dalle unità di strada, passate a Napoli da 1 a 5. Se nella Galleria Principe di Napoli (situata di fronte al Museo Nazionale, ndr) c’è una tendopoli e al fianco insiste una chiesa che offre pasti, bagno, docce, corrente oltre al supporto collaterale dei volontari, io non riuscirò mai a toglierli da lì: non perché devo pulire la galleria ma a dare loro dignità per creare in loro favore autonomia, indipendenza, sino a giungere al dare un posto di lavoro”.
Nella città di Napoli in questo momento i clochard vengono perlopiù ospitati nel dormitorio pubblico di via De Blasis (ci sono altri due centri nel Rione Sanità, denominata “La Palma” e “la Tenda”, gestiti da cooperative) che è arrivato a 120 posti. In una struttura di via Tanucci, nei pressi di piazza Carlo III, dove si trova il famoso Albergo dei Poveri, ci sono altri 20 posti per i senza fissa dimora, a cui se ne aggiungono altri 35 nella Casa delle Genti via Santa Maria Avvocata a Foria. Ci sono a Napoli anche 4 housing first, centri per il contrasto alle marginalità sociali.
“Abbiamo messo 25 milioni di euro per i prossimi 3 anni, rafforziamo le accoglienze con ulteriori 200 posti. Tutto il Pnrr è incentrato su disabilità e povertà”, chiosa l’assessore Luca Trapanese. Sull’opportunità di fare squadra si mostra d’accordo anche don Vittorio Sommella parroco del Duomo di Napoli, la chiesa dove è custodito il tesoro di San Gennaro, santo patrono e tra i maggiori simboli della città, all’esterno della quale tanti clochard trovano rifugio scontrandosi con la durezza della strada ogni giorno. “Bisogna fare rete, da soli non si va da nessuna parte. Assistiamo quotidianamente i senza fissa dimora e stiamo ragionando sull’idea di allestire un ricovero provvisorio, visto che molti di loro si rifiutano di andare nei nostri dormitori”, afferma don Sommella.
Il colloquio con un clochard
Girando per la città e raggiungendo le varie mense cittadine di Napoli (oggi ne sono 22), è facile imbattersi in senza fissa dimora che sono stati tramortiti dalla difficoltà ma che non perdono la voglia di sperare. Giulio, nome di fantasia, sulla cinquantina e vari alloggi di fortuna (ora vive in una minuscola dimora ma ha vissuto per le strade), confida il suo stato d’animo colloquiando con noi mentre aspetta di ricevere il suo pasto alla mensa di San Vincenzo de Paoli, in via Santa Sofia, strada alle spalle del Duomo di Napoli. “A volte ci sentiamo giudicati. Ma perché bisogna finire nel mirino per la nostra condizione? Come si dice? ‘Ogni scarrafone è bell’ ‘a mamma soja’. Gli altri pensassero alla propria vita, parlo anche per gli altri che sono con me qui. Noi venendo qui vogliamo avere anche un supporto morale, che è necessario”. Giulio ha sul volto i segni di un percorso stentato che dura da decenni. “Ho fatto il pescivendolo, il pittore, il caposala. ma ora non ho nulla. A chi parla in modo dispregiativo di noi dovrebbe tornare a scuola”.