Al confine tra Serbia e Kosovo la situazione è sempre più tesa. Dopo le contestate amministrative del mese di maggio, in un rimpallo di accuse, tra boicottaggi, blocchi e proteste, si susseguono gli scontri nel cuore dei Balcani, la “polveriera d’ Europa”.

Gli scontri più recenti

Una settimana fa, a ridosso della frontiera tra i due Paesi, le forze di sicurezza serbe hanno tratto in arresto tre uomini della polizia speciale kosovara accusati di essersi addentrati nel territorio violando accordi internazionali. Mentre Belgrado ha richiesto di avviare una inchiesta sui tre “terroristi” arrestati, secondo le Autorità di Pristina per i tre si sarebbe trattato, invece, di un rapimento. Fino ad oggi avere certezza di quanto accaduto non è stato ancora possibile e l’episodio ha esacerbato ulteriormente la tensione tra Belgrado e Pristina.

“Spiegatemi cosa cercavano con armi automatiche, mappe, dispositivi Gps e altre apparecchiature di osservazione”, ha dichiarato il capo dell’ufficio governativo serbo per il Kosovo, Petar Petkovic. Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, ha accusato il premier kosovaro Albin Kurti di non fare nulla per rasserenare la situazione tra i due Paesi ma anzi di volere la guerra: “Temo che abbiamo varcato il Rubicone e che sarà molto difficile il ritorno alla normalità”, ha dichiarato da Belgrado Vucic, che ha poi rivolto un appello ai governi di Usa, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia per fare tutto quanto è in loro potere per impedire a Kurti di provocare una nuova guerra nei Balcani. Kurti, da parte sua, ha condannato duramente quanto verificatosi come una vera “aggressione contro lo stato democratico”.

Con le esplosioni registrate nella notte tra il 15 ed il 16 giugno a Zvecan e Mitrovica, l’arresto di due serbi locali da parte della polizia del Kosovo accusati di avere aggredito giornalisti kosovari di etnia albanese e le proteste in strada contro il governo di Vucic, accusato di aver favorito attraverso i media di proprietà pubblica le sparatorie di maggio, si arriva sino ad oggi.

Per ben 7 volte da maggio i serbi sono scesi in strada a protestare contro la cultura della violenza del capo dello Stato, Vucic. Nelle proteste che hanno interessato Belgrado ed altre grandi città, la folla ha accusato il presidente di essere responsabile della violenza che ha portato prima un adolescente a sparare su nove compagni di classe e un agente di sicurezza in una scuola di Belgrado lo scorso 3 maggio , e dopo 48 ore ad altre sparatorie in tre diversi villaggi nei pressi di Mladenovac che hanno causato, secondo quanto riportano i giornali locali, otto morti e tredici feriti.

La “guerra delle targhe”

Ma probabilmente tra le scintille che avrebbero riattivato le discordie si deve annoverare anche quella che nello scorso novembre è stata soprannominata “la guerra delle targhe”. Le autorità di Pristina volevano eliminare le vecchie targhe rilasciate dalla Serbia che considera il Kosovo una propria provincia, ed avviare una nuova immatricolazione per tutte le auto. Questo avrebbe spinto centinaia di funzionari delle Municipalità a maggioranza kosovaro-serba a dimettersi per andare a nuove elezioni alle quali ha partecipato soltanto la popolazione kosovaro-albanese. I serbi, dunque, non hanno riconosciuto le elezioni ed i nuovi sindaci di etnia albanese. Dopo questa guerra e la reazione della minoranza serba all’arresto di Dejan Pantic, ufficiale serbo accusato di terrorismo che aveva aderito alle dimissioni in massa degli impiegati pubblici di etnia serba del nord del Kosovo, con le proteste di piazza a Mitrovica si sarebbero generati gli scontri violenti che conducono sino agli accadimenti degli ultimi giorni, figli tutti di problemi che si trascinerebbero in realtà da alcuni decenni.

Gli sforzi della diplomazia internazionale

Mentre il Kosovo, intanto, ai valichi di frontiera vieta l’ingresso nel suo territorio ai camion con targa serba e ad ogni veicolo che trasporta merci serbe, la diplomazia internazionale lavora per sedare le tensioni. L’obiettivo è fare pressione sulle massime autorità di Serbia e Kosovo al fine di mitigare lo scontro.
Josep Borrell, alto rappresentante UE per gli affari esteri ha invitato Aleksandar Vucic e Albin Kurti a un incontro a Bruxelles per i negoziati sulla crisi. “Ci aspettiamo un atteggiamento più ragionevole” ha detto il portavoce della Commissione, ma fino ad oggi nessun incontro avrebbe avuto ancora luogo. Vucic ha risposto che sarebbero “inutili”, mentre Kurti ha richiesto intanto il rilascio di tre poliziotti kosovari arrestati dalla Serbia.

L’appello del Generale Kfor

Anche il capo di Kfor (Kosovo Force), la forza di peacekeeping Nato schierata in Kosovo dal 12 giugno 1999, il maggiore generale Michele Ristuccia, intervistato da France Presse ha rivolto un appello alla Serbia ed al Kosovo: “Invito nuovamente entrambe le parti a evitare l’inutile retorica e ad affrontare questa sfida di nuovo ai tavoli dei negoziati, che sono l’unico modo per risolvere la situazione. Abbiamo bisogno che entrambe le parti diminuiscano le tensioni, per trovare una soluzione solo attraverso la politica e la diplomazia”, ha dichiarato il Generale.

Circa tre settimane fa anche 38 soldati della Kfor sono stati feriti negli scontri con i manifestanti serbi nel punto caldo del Kosovo del Nord, nel corso di quelle che sono state definite le peggiori violenze a cui hanno dovuto far fronte i caschi blu dal lontano 2004. Dopo gli ultimi accadimenti la Nato ha deciso di rinforzare le file della missione Kfor con altri 500 peacekeeper turchi, portando il numero delle truppe a quota 4.500 soldati.
“Il fatto che la Nato abbia mandato questi rinforzi, l’invio di ulteriori truppe supplementari, testimonia il nostro totale impegno e quanto seriamente la Nato stia prendendo la situazione”, ha dichiarato a France Presse Ristuccia, concludendo: “Nessuno può scegliersi il proprio vicino, bisogna trovare la soluzione migliore per vivere in pace con questi vicini. È un tema politico, è un problema politico”.

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