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Intraprendere il percorso per l’interruzione di una gravidanza è già di difficile, ma farlo nel pieno di agosto, con molte strutture dedicate in pausa ferie, rende tutto ancora più complicato. Ed è quello che è successo quest’estate, stando a quanto raccontano da ‘Ccà Nisciun’ è fessa’’, rete territoriale nata a Napoli che si occupa di salute sessuale e riproduttiva e diritto all’aborto e che è in contatto con altre realtà in diverse parti d’Italia. Serena Mammani, attivista di “Ccà Nisciun’ è fessa’’ (denominazione in napoletano, che tradotta vuol dire “qua nessuna è fessa”), denuncia: “Sono diverse le segnalazioni che ci sono giunte, da Nord a Sud. A Torino, a Napoli, a Catania, in diversi territori della Calabria, alcune donne che si sono recate a cavallo del Ferragosto nelle strutture dedicate per accedere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza si sono sentite rispondere di dover attendere perché nelle settimane centrali del mese il servizio era in molti casi sospeso per ferie’’.

La denuncia

“Nei consultori spesso vengono date notizie errate, perché si specificano giorni e orari in cui è possibile prendere appuntamento. In realtà non è così, perché poi ci si reca agli ospedali dedicati all’interruzione della gravidanza e ci si accorge che in determinati periodi dell’anno il tutto si ferma, a discapito delle donne che stanno esercitando un proprio diritto’’, sottolinea a Tell Serena Mammani, prendendo a spunto per le sue dichiarazioni una storia emblematica intercettata a Napoli dove le strutture dedicate sono 5: Cardarelli, Clinica Vanvitelli (il Vecchio Policlinico in piazza Miraglia, nel pieno centro storico cittadino dove già si svolse un sit-in di “Ccà Nisciun’ è fessa’’ un anno fa), Nuovo Policlinico, Ospedale San Paolo e Ospedale del Mare. “Nella settimana di Ferragosto – spiega Mammani – erano tutti chiusi tranne l’ospedale Cardarelli (il più grande del Mezzogiorno, ndr.), dove però è stata rimbalzata da un giorno all’altro senza dare un servizio immediato, in pratica senza risolvere nulla. Quando ci siamo imbattuti nella vicenda di questa donna, la risposta è stata praticamente la stessa quasi ovunque: ‘chiusi’, almeno fino al 22 agosto o anche dopo”.

“Non sapete quante telefonate abbiamo fatto ai vari ospedali, quanta attesa senza che nessuno rispondesse dall’altro lato. Questa persona ha anche difficoltà a spostarsi, e anche recarsi nelle strutture ospedaliere più lontane dalla propria abitazione – come alcune di quelle che a Napoli praticano la IVG – risulta un ostacolo ulteriore’’. La donna ora è riuscita ad ottenere, a fatica, un appuntamento al Nuovo Policlinico, ospedale meno lontano dal suo luogo di residenza. “Ma l’attesa è risultata essere troppo lunga – aggiunge Mammani – visto che la legge 194 pone dei limiti temporali precisi per l’interruzione di una gravidanza’’. Insomma, “se i tempi stessi si allungano, c’è il serio rischio di non poter più servirsi di un diritto garantito dalla legge 194. Ci si prende il lusso di chiudere due settimane a Ferragosto, senza garantire almeno una rotazione’’.

In una nota, “Ccà Nisciun’ è fessa’’ ribadisce la propria posizione: “I diversi passaggi da fare, già di per sé non semplicissimi, sono aggravati dalla carenza di strutture sanitarie territoriali, poche e spesso mal funzionanti. A Napoli sono aperti 13 consultori per un milione di abitanti, la legge ne prevede uno ogni 20.000’’. Secondo la rete territoriale, “garantire un accesso dignitoso all’aborto significa non sottoporre le persone ad un’attesa violenta e sfiancante, significa non ricevere informazioni errate o parziali in merito al percorso che si sta per affrontare, significa non doversi interfacciare con personale medico incapace di accogliere l’utenza, che tenta in ogni modo di instillare dubbi e sensi di colpa in merito alla scelta presa. L’autodeterminazione e il diritto alla salute non vanno in vacanza’’. Per “garantire un accesso dignitoso all’aborto abbiamo bisogno di tempi e procedure snelle, di ascolto e accoglienza non giudicante, di più ospedali e consultori efficienti ed aperti, tutto l’anno, senza eccezioni!’’ concludono dalla rete territoriale “Ccà Nisciun’ è Fessa”.

La legge 194 del 1978 e gli obiettori di coscienza

Necessario, prima di tutto, inquadrare il contesto. La legge numero 194 approvata il 22 maggio del 1978, confermata con il referendum tenutosi nel maggio 1981, dà la possibilità di interrompere la gravidanza entro la nona settimana dall’ultimo ciclo mestruale, con due tecniche possibili: metodo farmacologico e metodo chirurgico. Ma in Italia le difficoltà a intraprendere questa strada sono tante, legate anzitutto alla presenza negli ospedali di tanti obiettori di coscienza, ossia coloro che, appellandosi all’articolo 9 della legge 194/78, in buona sostanza si rifiutano di adempiere al compito di interrompere la gravidanza per motivi religiosi, morali o ideologici, evitando di fornire determinate prestazioni professionali.

Secondo i dati diffusi dall’Associazione Luca Coscioni nel report “Obiezione 100”, in Italia ci sono 72 ospedali che hanno tra l’80 e il 100% di obiettori di coscienza, e addirittura esistono 22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e OSS, 18 ospedali con il 100% di ginecologi obiettori. A ciò vanno aggiunte le 46 strutture che hanno una percentuale di obiettori superiore all’80%. Sono ben 11 le regioni in cui esiste almeno una struttura con il 100% di obiettori di coscienza: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto. La Sardegna e la Sicilia, con più dell’80% di mancata risposta all’accesso civico generalizzato, sono le regioni più inadempienti. Ad Andria, città della Puglia, sono obiettori il 100% sia i ginecologi che il personale non medico. Sempre in Puglia, nel Polo Ospedaliero di Francavilla Fontana, più del 90% di medici ginecologi, anestesisti e infermieri sono obiettori.

I numeri degli aborti dall’introduzione della 194

Nel 2022 la relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 194 ha snocciolato dei dati rispetto ai numeri delle interruzioni di gravidanza dagli anni ’80 ad oggi. Nel documento è possibile evincere come, da quando è stata introdotta la legge, la percentuale degli aborti sia diminuita, non aumentata. L’anno di massima incidenza degli aborti è stato il 1983 con 233.976 IVG (38,2 interruzioni ogni 100 nati). Per fare un raffronto, nel 2020 si è passati a 66.413 (16,6 IVG ogni 100 nati) con una riduzione del 71,6%. Dividendo per aree geografiche, queste le percentuali di diminuzione tra gli anni 1983 e 2020 ravvisate dalla stessa relazione parlamentare di un anno fa: Nord -70,6%; Centro Italia -72,3%; Sud -74%; Isole -68,4% con una media di -71,6% su scala nazionale. Nel 1983 al Nord le interruzioni delle gravidanze furono 105.430, nel 2020 31.025. Nel Centro Italia nel 1983 le IVG furono 52.423, 14.518 nel 2020. Nel Sud Italia 57.441 IGV nel 1983, 14-959 nel 2020. Sulle Isole nel 1983 le IGV raggiunsero il numero di 18.682, ridotte a 5.911 nel 2020. Su scala nazionale, in totale gli aborti furono 233.976 nel 1983, scese a 66.413 nel 2020.

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